Jeans, petto nudo, pelle abbronzata e capelli dai colpi di sole perfetti (roba da fare invidia a Jennifer Aniston): Iggy Pop è ormai un'icona immutabile, rimasta negli anni sempre fedele al suo immaginario. I più giovani vedendolo potrebbero pensare che si tratti di una rockstar ormai attempata che non vuole cedere ai segni del tempo, e forse in parte è vero, ma, per gli appassionati di musica rock, resterà per sempre L'Iguana: il frontman scatenato e instancabile della band The Stooges, che, insieme ad artisti come David Bowie e Mick Jagger dei Rolling Stones, ha cambiato per sempre il modo di fare spettacolo sul palcoscenico di un concerto.
Anticonformista, e come posseduto da una forza extra corporea, Iggy Pop, al secolo James Newell Osterberg, con le sue movenze inconfondibili e i collari per cani indossati come accessori, ha portato la sensualità, anche estrema, nel rock, cavalcando la rivoluzione dei costumi di fine anni '60, senza però abbracciare mai il movimento hippie che stava travolgendo il mondo. Più che "flower power", quello di Iggy Pop & The Stooges è infatti un "rock power". Ne è consapevole Jim Jarmusch che, con il suo documentario, ha deciso di celebrale quella che, per lui, è "la più grande rock'n'roll band di tutti i tempi", di cui in Gimme Danger - presentato nella sezione Midnight Screenings al 69esimo Festival di Cannes e nelle sale italiane solo il 21 e il 22 febbraio, distribuito da Nexo Digital - fa un ritratto quasi da fan.
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"Voglio solo essere"
"Gimme Danger" è la seconda traccia del lato A del terzo album della band, Raw Power (1973), l'ultimo prima di un lungo periodo di inattività, finito solo negli anni 2000, in cui Iggy Pop e The Stooges hanno pubblicato un nuovo disco, The Weirdness (2007). Nel suo film Jarmusch si sofferma però non sugli anni della decadenza, ma sui gloriosi e scatenati inizi: mettendo letteralmente la macchina da presa al servizio dell'Iguana, il regista gli lascia carta bianca, facendogli raccontare in prima persona la sua evoluzione, da figlio di una famiglia di eccentrici, che per un periodo ha vissuto in una roulotte, ad animale da palcoscenico. Formatisi ad Ann Arbor, città del Michigan vicina a Detroit, Iggy & The Stooges, fondati da Iggy Pop (voce), dai fratelli Ron e Scott Ashton (chitarra e batteria) e da Dave Alexander (basso), gli Stooges esordirono all'università del Michigan il giorno di Halloween del 1967: da subito le loro performance si fecero conoscere come qualcosa di mai visto. Pop (che prende il suo soprannome da un tipo strano della città natia, Jim Popp, a cui gli altri membri della band dissero che somigliava una volta che si rasò le sopracciglia) simulava rapporti sessuali, si auto-infliggeva ferite sul petto, fu uno dei primi, se non l'inventore, dello stage diving (è lo stesso cantante a ricordare la prima volta che lo provò, nel 1970: si buttò sulla folla convinto che il pubblico l'avrebbe afferrato, invece, come un Mar Rosso umano, i presenti si scansarono, con il risultato della rottura degli incisivi anteriori): una vera scarica di adrenalina e trasgressione.
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Tutta la psichedelia, la droga e la confusione di quegli anni non sono state però così caotiche come si può pensare, o almeno non hanno intaccato la lucidità di Iggy Pop. Con grande auto-ironia e consapevolezza, il cantante spiega l'origine delle sue ossessioni: la sua musica doveva essere semplice, con testi di massimo 25 parole, perché "non sono mica Bob Dylan blah blah blah", con sonorità martellanti che dovevano ricordare i macchinari delle industrie del Michigan, unite a sperimentazioni proprie di chi aveva assorbito con attenzione il percorso dei Velvet Underground (e fu proprio John Cale, fondatore dei Velvet Underground insieme a Lou Reed, a produrre The Stooges, il loro album d'esordio, nel 1969) e il blues di Bo Diddley. Sul collare da cani la spiegazione è immediata: "Lo vidi nella vetrina di un negozio e lo comprai per indossarlo tutti i giorni". Più chiaro di così. Anticonformista e schietto, il frontman degli Stooges non ci sta a farsi etichettare con un genere e, verso la fine della pellicola, dice chiaramente: "Non voglio far parte del glam o della musica alternativa. Di nessuna di queste cose. Non voglio essere punk. Voglio solo essere".
Tra David Bowie e John Wayne
Così come la sua pelle, che sembra ormai cuoio stagionato, la vita di Iggy Pop è una fonte inossidabile e inesauribile di aneddoti e situazioni incredibili, che solo chi ha vissuto bruciando la propria candela da entrambi i lati può raccontare: tra spezzoni di filmati d'epoca e riprese dei concerti, L'Iguana snocciola una serie di chicche clamorose, come quando conobbe David Bowie, o quando, a un incrocio di Santa Monica, stava per essere investito da John Wayne. Bello il momento in cui, ricordando i suoi genitori, racconta di quando, stufi di trovarlo in salone a suonare la batteria perché nella sua piccola stanza lo strumento non entrava, gli lasciarono la loro camera da letto. Il racconto del frontman fa intravedere un'umanità vissuta e dirompente, talmente vitale da tendere a cannibalizzare gli altri componenti del gruppo, che, in proporzione, fanno sentire molto meno la loro voce. Così come Jarmusch che, se si deve proprio trovare un difetto al film, è talmente inebriato dalla possibilità di incontrare quello che è, evidentemente, uno dei suoi idoli, da lasciarsi andare a un ritratto quasi da fan, non riuscendosi a distaccare pienamente dalla materia raccontata. In questo modo però ne esce fuori un ritratto di pancia, divertente e genuino, che ogni amante della band non può non apprezzare.
Movieplayer.it
3.5/5