In tempi di buona scuola e di delegittimazione progressiva dell'istituzione pubblica a favore di quella privata, Gianni Amelio ci regala uno sguardo al passato che è poi un'attenta riflessione sul futuro dell'istruzione italiana. Negli ultimi tempi il regista ha accantonato i lungometraggi di finzione per dedicarsi ai documentari. La forma documentaria gli permette di scandagliare in modo rigoroso aspetti della storia d'Italia che gli stanno particolarmente a cuore e la scelta di occuparsi della scuola ha un'origine autobiografica. Racconta Amelio: "Registro di classe - Parte prima 1900-1960 nasce da un progresso mancato. Sono anni che tento di fare un film su una giovane maestra nel dopoguerra. Mia zia era maestra di scuola serale in Calabria, sulla Sila, e faceva 16 km al giorno a piedi per andare al lavoro. Il mio film sarebbe stato incentrato su questa donna e su una classe di soli uomini, 350 in tutto, dai 21 ai 100 anni". Non riuscendo a portare a termine il progetto fictional, Amelio lo ha trasformato in un documentario a capitoli che, nell'idea del regista, dovrebbe "sensibilizzare il pubblico sull'oggi. Quando si parla di storia non si parla di passato, ma di futuro".
Come eravamo
Registro di classe è un work in progress in tre capitoli, un film di montaggio realizzato insieme a Cecilia Pagliarani che riunisce materiali documentari sulla scuola primaria. Il primo capitolo, della durata di circa 55 minuti, va dal 1900 al 1960. "Ho scelto io il formato breve per non appesantire la questione, per non fare un sermone" chiarifica Gianni Amelio. "Non vorrei dire cosa penso della scuola di oggi, ma di quella di domani. Ripercorrendo la storia della scuola, sono stati fatti progressi enormi, ma il problema, per me, resta il termine obbligo. Io odio questa parola, secondo me si sarebbe dovuta chiamare "scuola del diritto". Purtroppo la prima cosa che i bambini apprendono a scuola è che i diritti non sono uguali per tutti. In questo senso, Registro di classe non si riferisce al gruppo di allievi che sta a scuola, ma alle discriminazioni che purtroppo si verificano nella scuola. Tutti dovremmo avere gli stessi diritti e tutti dovremmo cominciare ad averli fin dalla nascita".
Trentennio, propaganda e figli della lupa
Tra le immagini di repertorio che vanno a comporre Registro di classe, a colpire l'attenzione del pubblico sono sopratutto le sequenze ambientate in epoca fascista. Immagini costruite sapientemente allo scopo di realizzare un vero e proprio spot del fascismo, dell'istruzione e dell'educazione sotto il Duce. Come osserva Gianni Amelio "un tempo gli spot erano rivolti a elencare i pregi della scuola. Lo facevano magari mentendo, perché creavano un'illusione di libertà che non c'era. Per obbligo si intendeva l'obbligo degli scolari di essere fascisti. Oggi viene raccontato tutto in maniera maldestra. Adesso che potremmo comunicare qualcosa di meglio nei contenuti rispetto al passato non lo facciamo. Invece Mussolini ha propagandato la scuola e il cinema con gli stessi mezzi, ha creato il Centro Sperimentale e ha investito energie in un'arte di cui aveva intuito il potere. Il fascismo raccontava la scuola dell'epoca come un modello di perfezione, quando invece si allevavano dei prigionieri. Anche se la scuola fascista era distruttiva per la libertà del bambino, la propaganda è stata fatta con grande furbizia". Il regista commenta poi le sequenze contenute nel suo film in cui i piccoli studenti vengono mostrati intenti a leggere i fumetti con indosso maschere antigas. "I bambini mostrati sui banchi di scuola con indosso maschere antigas erano un messaggio aberrante. Le maschere ricordano qualcosa di mostruoso e li privano dell'identità. Questo era un modo del governo per avvallare il concetto della giustezza della guerra" commenta il regista.
L'annosa questione dell'italiano
Consapevole dei tanti parallelismi tra ieri e oggi, Gianni Amelio si sofferma su un'altra problematica fondamentale legata alla storia della scuola pubblica italiana: l'uso dell'italiano. Nell'Italia del dopoguerra c'è una profonda spaccatura non solo tra nord e sud, ma anche tra coloro che padroneggiano l'italiano e la stragrande maggioranza della popolazione che parla solo in dialetto. Amelio, originario di un paesino della Calabria, ha vissuto il problema della lingua nel corso dell'infanzia e osserva come questo fenomeno si riproponga oggi con i figli degli immigrati che frequentano le scuole italiane. "Nel mio film si vede un'Italia divisa. Lo spaesamento del maestro emiliano che arriva a insegnare in Basilicata è qualcosa che si verifica anche oggi. Un tempo il meridionale che arrivava a Torino era visto come un essere di serie B. Oggi il dialetto è stato sostituito dalle lingue straniere perché buona parte degli allievi è figlia di immigrati".