Visibilmente teso ed emozionato, a soli due giorni dall'uscita nelle sale italiane del suo nuovo controverso film Sette Anime, Gabriele Muccino ha incontrato i giornalisti raccontando senza esitazioni le sue speranze e le sue paure per questa sua nuova sfida professionale, analizzando nel complesso la sua esperienza negli States a contatto con il dorato mondo di Hollywood. Ha parlato del lato artistico come di quello più strettamente emozionale di Sette Anime (in originale Seven Pounds), per sua stessa ammissione il più complicato della carriera, ma non si è risparmiato quando gli è stato chiesto a proposito delle pesanti stroncature della critica a stelle e strisce, dell'accoglienza positiva che invece gli ha tributato il 'difficoltoso' pubblico americano. Infine c'è stato anche spazio per un'analisi approfondita sull'amore, sulla morte e sul suo rapporto con Will Smith, che torna protagonista in un suo film dopo il successo de La ricerca della felicità.
Gabriele, quanto è stato difficile mettersi al timone di un dramma così intenso e complesso?
Gabriele Muccino: Accettare di dirigere Sette Anime è stato sicuramente ambizioso ma anche pericoloso per quel che mi riguarda, è un film duro, cupo, un film in un certo senso rivoluzionario per quel che riguarda i prodotti di Hollywood. Una storia che accetti di raccontare ma solo se non sei costretto a usare mezze misure, assumendoti le tue responsabilità in toto, e io l'ho fatto, non ho avuto paura. Ho accettato la sfida e ne sono orgoglioso.
Com'è stato tornare a lavorare di nuovo con il tuo amico Will Smith in un film per lui così inusuale?
Gabriele Muccino: E' stato molto complesso convincere Will e poi aiutarlo ad entrare nel personaggio. Il perché è semplice: Ben Thomas è tutto quel che Will nella vita non è mai stato e non sarà mai. Will non conosce depressione, è un ottimista di natura ed è sempre allegro, mentre Ben è un uomo sull'orlo di una pesante psicosi, un uomo divorato dai sensi di colpa e dal dolore, spento e infelice.
Come hai fatto a convincerlo ad accettare la parte?
Gabriele Muccino: A forza di spintoni al suo ego sono riuscito a fargli vestire i panni del protagonista di questa tragica storia di redenzione. Alla fine della lavorazione Will era seriamente cambiato, era anche lui parecchio giù di morale, quasi sull'orlo di una depressione vera. Ricordo che ad un certo punto delle riprese voleva piantarmi in asso e smettere di girare perché non riusciva più a scardinarsi da Ben Thomas. Poi ho cercato di fargli comprendere che avevo bisogno di lui per descrivere il 'risveglio' di un uomo che grazie all'amore di una donna ritrova la gioia di sorridere nonostante sappia che non la potrà mai amare fino in fondo. Solo l'amore di qualcuno o per qualcuno ci può salvare dalle tenebre dell'anima, è benefico, ci salva dal baratro, evita che ci si spenga piano piano.
Pensi che il tuo futuro professionale sarà legato ancora una volta al nome di Will Smith?
Gabriele Muccino: Non so, non siamo vincolati da nessun tipo di contratto o legame. Ho scritto diverse storie che sto analizzando, devo decidere cosa farò a breve, probabilmente a giugno inizierò a girare il sequel de L'ultimo bacio, ma si devono conciliare due o tre cose prima. Sempre che non arrivi qualche bella storia americana che mi faccia cambiare idea.
Gabriele Muccino: Questi sensi di colpa così asfissianti, che arrivano ad ucciderti, esistono veramente, mi sono documentato ho parlato con persone che hanno vissuto traumi del genere e in alcuni casi mi hanno raccontato di una forte voglia di autodistruzione che spesso porta anche al suicidio. Si cerca di tornare indietro nel tempo ma solo dopo tanto tempo ci si accorge che non è possibile, che il dolore si può solo elaborare. Ho anche preso conoscenza di offerte di organi spontanee da parte di sconosciuti in diversi ospedali, mi sono spesso chiesto chi fossero questi donatori e perché lo facessero. Quindi come vedete non è un film così tanto estremo come può sembrare.
Perché all'inizio avevi paura di affrontare tutto questo?
Gabriele Muccino: Avevo paura di certi temi, che un film come Sette Anime, provocatorio e sconvolgente, non fosse nelle mie corde. Poi ho letto attentamente la sceneggiatura e mi sono accorto che la trovavo affascinante, che aveva una grande forza emotiva più che cerebrale e che tutto questo aveva un fortissimo valore simbolico più che strettamente realistico. E' un film che a mio avviso ha una lirica molto spiccata, o lo ami o lo odi un film di questo tipo. Al pubblico è piaciuto ma alla critica no, i giornalisti americani hanno attaccato Will in maniera viscerale più che il film in sé e francamente non capisco il motivo.
Cosa pensi li abbia infastiditi di più?
Gabriele Muccino: Io sono molto attento ai giudizi negativi della stampa, di solito imparo molto dalle critiche ma stavolta devo dire che non ho compreso affatto questa stroncatura così netta. A mio avviso non hanno giudicato il film con la serenità d'animo con cui si dovrebbe giudicare. Parlare di Scientology e paragonare Will Smith a Tom Cruise non è proprio il modo più giusto di impostare una critica costruttiva.
Cosa ti rimproverano?
Gabriele Muccino: Hanno definito il film 'manipolatorio' perché usa le lacrime e i sentimenti per commuovere il pubblico, ma quale film non lo fa? Deve essere per forza un difetto? Io non credo. Non ho costruito un meccanismo a orologeria per far piangere lo spettatore, la mia 'colpa' è stata quella di aver affrontato un argomento delicato che coinvolge i sentimenti e le emozioni.
La narrazione e la struttura di Sette Anime ricordano molto film importanti e straordinari come Crash di Paul Haggis e 21 Grammi di Inarritu. Pensi ti abbiano influenzato o in qualche modo ispirato?
Gabriele Muccino: Forse per la struttura non convenzionale o per i temi trattati si, ma personalmente più che a questi due vedo Sette Anime più vicino ad un film come Il Sesto Senso, in cui il pubblico crede per buona parte della durata di star vedendo un film diverso da quello che in realtà è. All'inizio si fatica un po' ma difficilmente ci si annoia. Mi sento come se avessi fatto il cosiddetto film di nicchia e poi di essere riuscito a portarlo nella grande distribuzione hollywoodiana.
Gabriele Muccino: Senza dubbio questo, perché grazie al primo film mi ero creato una sorta di credibilità nell'ambiente, non fosse stato per la spinta e la buona parola di Will Smith forse non sarei mai riuscito a dirigere La ricerca della felicità. Sta di fatto che Sette Anime è stato senz'altro il film più complicato e difficile della mia carriera, per l'immediato futuro voglio rilassarmi un po' però e lavorare a qualcosa di più leggero e meno stressante.
Anche qui, come in tutti i suoi film, torna la corsa come tema ricorrente. Spiegaci perché ti ossessiona così tanto...
Gabriele Muccino: C'è poco da spiegare, amo correre, è il modo con cui affronto la vita. Corro, corro, corro, spesso senza vedere neanche bene dove sto andando. Ci penso sempre dopo...