È un progetto atipico ma interessante, quello di Fukushame: Il Giappone perduto. Il fotoreporter e documentarista italiano Alessandro Tesei è giunto in Giappone, si è unito a un gruppo di animalisti locali, e con loro si è addentrato nella zona contaminata dal disastro nucleare di Fukushima, quella evacuata dalle autorità; armato di videocamera e contatore Geiger per la misurazione delle radiazioni, ha assemblato, insieme al co-sceneggiatore Matteo Gagliardi, un prodotto quantomai insolito: una sorta di docu-road movie (così lo ha definito lo stesso Gagliardi), visivamente ricercato, che ha il pregio di mostrare l'impatto dell'incidente sulla vita delle persone, quelle fuori e dentro la "zona proibita", la compromissione della quotidianità e degli affetti (anche andare a trovare i propri cari al cimitero diventa impossibile) oltre all'incapacità di prevedere le conseguenze a lungo termine dell'incidente. Un evento su cui ultimamente i riflettori si sono un po' abbassati, ma che (come il film mostra chiaramente) rappresenta una questione tutt'altro che risolta, e la cui reale portata andrà valutata, inevitabilmente, nel corso dei prossimi decenni.
Di questo prodotto hanno parlato, dopo la proiezione dedicata alla stampa, i due autori Tesei e Gagliardi, oltre alla produttrice Christine Reinold, e al reporter di Sky Tg 24 Pio D'Emilia, tra i primi giornalisti europei a recarsi nella zona contaminata, e autore di un fondamentale contributo per il film (sua è l'intervista - inedita - all'allora premier nipponico Naoto Kan).
Pio D'Emilia: Io non ho contribuito direttamente al film, ma ho partecipato tramite Sky: ho conosciuto direttamente Naoto Kan, sono stato là, forse sono stato il primo giornalista europeo ad entrare nella zona proibita. Ho conosciuto Alessandro e Matteo tramite il fotografo Pierpaolo Mittica, e ho accettato di dare un contributo perché lo trovavo un documentario importantissimo: opera di due italiani un po' pazzi, arrogantemente coraggiosi, ma con un ruolo fondamentale nello spiegare non solo ciò che è successo, ma anche il suo costo sociale. Alcuni giornalisti della stampa estera, e anche italiana, hanno scritto delle stronzate a riguardo: l'emergenza non ancora finita, è solo arrivata fino a un certo punto, in cui è difficile fare previsioni. Le interpretazioni sono tante: quando paragoniamo Fukushima a Chernobyl, comunque, non dobbiamo cadere nell'errore di pensare che anche qui ci siano stati centinaia di morti: per ora ci sono stati dei ricoveri, malori, casi di cancro. Tra 20 o 30 anni sapremo più precisamente quali siano state le conseguenze di questo disastro. Una catastrofe naturale, comunque, può succedere ovunque: un popolo come quello giapponese doveva essere l'ultimo ad accettare il nucleare, proprio per la sua storia. Questo era un evento assolutamente prevedibile, perché le centrali giapponesi sorgono sulle zone più "nervose" del pianeta. Il modo in cui il Giappone ha reagito è stato sorprendente: per lo tsunami e il terremoto, il popolo giapponese è riuscito subito, non dico a ricostruire, ma quantomeno a ripulire le zone colpite; per il nucleare, invece, abbiamo assistito a un incredibile balletto di annunci, controannunci, smentite, menzogne.
Matteo Gagliardi: C'è stata una coautorialità nel lavoro, ma la regia vera e propria è di Alessandro: è lui che si è esposto in prima linea ed è andato là. Il progetto non si è sviluppato fin dall'inizio così com'è, ma ha preso forma col tempo. Mi ha colpito molto l'uso del grandangolo, per esempio. Anche il contributo fotografico di Pierpaolo Mittica è stato fondamentale.
Alessandro Tesei: Io vengo da studi di documentaristica, e avevo un amico a Tokyo che mi raccontava di questa situazione nelle zone evacuate, ancora non chiara. Allora ho detto "ci provo": sono partito per un mese e mezzo, sono riuscito a entrare lì con questi animalisti, di fatto siamo entrati di nascosto perché il permesso che avevamo non ci permetteva di spingerci così addentro. Il girato al mio ritorno era tantissimo, circa 15 ore.
E' stato un progetto impegnativo, a livello produttivo?
Christine Reinold: E' costato in tutto 80.000 euro. Siamo stati fortunati perché abbiamo trovato la Moroni & Partners che ci ha supportato: noi ci siamo sempre occupati di teatro, ma quando c'è stata la possibilità di fare un film come questo, non mi è sembrato poi lontano dal teatro. E' un film che riflette molto di più la realtà: le sue immagini mi sono piaciute perché riflettono non tanto il nucleare in sé, quanto ciò che ha provocato sulle persone, e anche il rapporto con la politica. Alessandro è riuscito a far emergere il lato umano della questione. Inoltre, è un film che ci avvicina al nucleare anche dal lato scientifico, cercando di farne capire i rischi.
Avete provato a capire se fosse possibile intervistare qualcuno della Tepco? Alessandro Tesei: Ci abbiamo provato, ma ci è stato impossibile.
Come vi siete mossi sul territorio?
Io sono partito da solo, gli unici contatti erano questo mio amico e questo gruppo di animalisti. Ho partecipato anche a una manifestazione al parco Meiji il 19 settembre, lì ho conosciuto della gente di Fukushima che mi ha permesso di capire la loro vita; da lì sono riuscito a girare anche le zone site intorno alla zona proibita, non solo quelle all'interno. Sono partito un po' all'arrembaggio, con una serie di idee che con il tempo si sono evolute. Ho avuto la fortuna di partire con delle di persone che già conoscevano bene la zona.
Alessandro, nel film si vede un momento in cui il livello di radiazioni sale, loro ti urlano di lasciare la zona e tornare in macchina, e tu dici "ancora un minuto". Cosa hai provato in quel momento? Alessandro Tesei: Avevo una paura tremenda, anche se in realtà quei valori, se resti lì solo per pochi attimi, non sono eccessivamente pericolosi. Ma ero vorace di immagini, anche se avevo pochissimo tempo: sapevo che forse quella sarebbe stata l'unica volta nella mia vita in cui avrei avuto quella possibilità.
Perché non far uscire il film a ridosso dell'11 marzo, nell'anniversario della tragedia? Matteo Gagliardi: Noi ci auguriamo, per quella data, di essere ancora in sala. Pur senza un battage pubblicitario, ma con un tema di interesse diffuso, speriamo che alcuni esercenti ci chiedano più proiezioni; e inoltre stiamo puntando anche a delle proiezioni nelle scuole.
Quali sono i vostri "sogni nel cassetto", o eventuali progetti futuri? Alessandro Tesei: Il mio prossimo progetto è un altro documentario, sempre sul tema ambientale: probabilmente il titolo sarà Taranto Karabash, dove Karabash è una città nel sud della Russia, con un inquinamento simile a quello di Taranto. Si cercherà di fare un parallelo tra le due situazioni, attraverso la vita di due abitanti delle due città a confronto.Matteo Gagliardi: Io sono una persona molto pragmatica: se parliamo di sogni, mi basterebbe vedere certi prodotti premiati da persone che ne riconoscano il merito.
Christine Reinold: Io spero, semplicemente, che il mio lavoro sia una piccola tessera di un mosaico migliore, soprattutto per i nostri figli.