Per il suo lungometraggio d'esordio Francesco Dominedò si è fatto letteralmente in cinque. Con un passato d'attore alle spalle (Il Rabdomante, Cover-boy - l'ultima rivoluzione, I fatti della banda della Magliana) e un'attività dietro la macchina da presa che l'ha visto protagonista di documentari sociali (Eccessi) e cortometraggi dal gusto horror (The Coffin Carrier, L'appeso), il regista approda al cinema con una storia di criminalità giovanile. Distribuito da Iris Film dal 24 giugno, 5 (Cinque)rientra nel crime metropolitano, genere che sembra adattarsi agevolmente ai gusti cinematografici di Dominedò e alla sua scelta di utilizzare l'immagine come strumento di sorpresa sottilmente compiaciuta dall'eccesso. Così, per raccontare la vicenda di cinque ragazzi provenienti dalla stessa zona periferica di Roma est e destinati a una vita criminale senza via di ritorno, è stato scelto un cast dal curriculum perfetto. Fatta eccezione per la new entry Matteo Branciamore, fino ad ora legato a doppio filo alla fortunata serie famigliare I Cesaroni, e per Christian Marazziti, dedito agli spot pubblicitari e alla commedia in stile Vanzina, il resto della "banda" ha un background indiscutibile. Accanto a Stefano Sammarco, che firma anche il soggetto del film, si schiera Alessandro Borghi, amante del pericolo come interprete di Distretto di Polizia 6 e di Romanzo Criminale 2, esperienza condivisa con il ritrovato compagno di set Alessandro Tersigni.
Signor Dominedò, dopo una lunga esperienza come interprete ha deciso di debuttare dietro la macchina da presa con un lungometraggio dai toni noir. Ci racconta l'evoluzione del progetto?Francesco Dominedò: Cinque è un film indipendente. So che oggi questa parola va molto di moda, ma vi assicuro che abbiamo lavorato senza alcun tipo di fondi. Nel suo complesso il film è costato non oltre i quattrocentomila euro, ossia quanto un quarto d'ora di una qualsiasi pellicola italiana. E' stato possibile realizzare il progetto a queste condizioni grazie allo sforzo produttivo di Valter D'Errico e all'intervento inaspettato di tutti coloro che ho conosciuto in questi anni di attività sui vari set e che hanno deciso di aiutarmi, come Luis Siciliano con le sue musiche. Il film prende spunto da una vicenda veramente accaduta intorno agli anni Novanta nella periferia est di Roma. Cosa l'ha conquistata tanto da volerla portare sul grande schermo?
Francesco Dominedò: L'idea era di raccontare una storia d'amicizia più che di criminalità. All'inizio ho preso un po' in giro gli attori facendogli credere di essere stati reclutati per un gangster movie ma, in realtà, volevo raccontare un percorso umano e delle scelte che l'hanno condizionato. Tutto è nato da tre pagine scritte di botto da Stefano Sammarco senza punteggiatura, totalmente di getto. Successivamente abbiamo sistemato il soggetto ma io ancora non facevo parte del team. La decisione di mettermi dietro la macchina da presa è arrivata dopo aver scoperto che la vicenda iniziava il 17 dicembre, ossia il giorno del mio compleanno. Era un segno che non potevo ignorare. A causa del budget ridotto abbiamo girato il più possibile per accorciare i tempi di produzione. Il primo ciak è stato dato a maggio e per le successive cinque settimane abbiamo lavorato duramente con l'aiuto di tutta la gente del Quarticciolo senza la quale non avremmo avuto location, comparse e sostentamento.
Per interpretare Manolo, probabilmente il più imprevedibile e fuori controllo dei cinque ragazzi della banda, ha scelto Matteo Branciamore, conosciuto soprattutto per la sua interpretazione del rassicurante Marco Cesaroni nella fortunata serie di Canale 5. Com'è avvenuto il vostro incontro?
Francesco Dominedò: Siamo abituati a vedere Matteo come il bamboccione de I Cesaroni ed io stesso credevo che fosse veramente stupido. Però, abitandogli praticamente davanti e vendendolo spesso nella zona, ho avuto sempre meno dubbi sulla sua brillantezza. Il problema è che non sapevo come contattarlo, quindi sono arrivato a dare dei soldi al portiere del palazzo per fargli leggere la sceneggiatura. Dopo pochi giorni ci siamo incontrati per discutere del progetto. Matteo era arrivato all'appuntamento sicuro che gli sarebbe stata offerta la parte di Emiliano, tra tutti il più carino e innocente, ma è rimasto sorpreso quando gli ho proposto di vestire i panni di Manolo, pazzo e schizzato. Vederlo accettare con entusiasmo è stato incredibile. Per una star della tv ci vuole un grande coraggio ad accettare un progetto così piccolo e ad alto rischio, avrebbe potuto sputtanarsi con grande facilità.
Francesco Dominedò: La trama era un po' più pregnante rispetto a quanto è stato filmato realmente, ma quando hai un piccolo budget non puoi realizzare tutto ciò che vuoi. Molte volte ci hanno detto all'ultimo momento di tagliare delle scene e non sempre è stato facile trovare una soluzione alternativa valida in così poco tempo. In fin dei conti questo film è un'opera prima e come tale ha dei pregi e dei difetti. Serve per crescere e capire quali errori non ripetere.
Il cast principale è formato da attori giovani con background diversi. Com'è stato per voi sperimentare l'esperienza di una produzione low budget dai tempi pressanti?
Alessandro Borghi: L'esperienza è stata tosta perché il tempo a nostra disposizione era veramente poco. Considerate che in un solo giorno ho fatto più di 18 scene. E' un ritmo cui sono abituato lavorando nella lunga serialità televisiva, ma il cinema ti da anche la possibilità di riflettere e lavorare sul personaggio. Francesco ci ha lasciati liberi di rivedere alcune caratteristiche dei protagonisti e vi assicuro che questo è veramente insolito.
Christian Marazziti: Spesso si arrivava sul set e non sempre sapevamo cosa fare. Era una sorta di work in progress continuo, un salto nel buio incredibilmente stimolante. La cosa indimenticabile? Sicuramente Branciamore che imitava Califano e Muccino prima di una scena.
Matteo Branciamore: Sono contento di aver fatto questo film. È difficile credere nell'esistenza di qualcuno tanto pazzo da offrirmi una possibilità lontanissima da tutto ciò che mi è stato proposto fino ad ora. Purtroppo viviamo in un paese come l'Italia in cui, una volta indossata la maschera di Marco Cesaroni, non puoi interpretare altro. In conclusione, abbiamo lavorato solo cinque settimane, ma farei altri cento film così.