Alla Mostra del Cinema di Venezia la musica è stata protagonista. Piero Pelù, Nino D'Angelo e Francesco De Gregori raccontati da altrettanti film con approcci e stili diversi. Il primo di questi titoli ad arrivare al pubblico, uscendo in sala con un evento di Nexo Studios dall'11 al 17 settembre, è stato Francesco De Gregori. Nevergreen, un'opera intima, delicata, accogliente nelle sue suggestioni che abbiamo avuto modo di discutere al Lido di Venezia con il suo regista Stefano Pistolini. Il film, prodotto da Our Films, ci porta al Teatro Out Off di Milano, dove il cantautore ha tenuto una serie di concerti nel novembre del 2024, un ciclo di date dedicate ai nevergreen del titolo, quei brani che non hanno mai avuto una grandissima visibilità, componendo una scaletta selezionata tra una settantina di canzoni tra le meno note della sua produzione.
Le "perfette sconosciute" di Francesco De Gregori
Non un documentario celebrativo di una carriera o un classico film-concerto, ma qualcosa di diverso. Ma come è nata l'idea di raccontare le Nevergreen di Francesco De Gregori? "È la terza volta che De Gregori un bel giorno mi chiama e mi dice 'facciamo un film'" ci ha raccontato Stefano Pistolini, "la prima volta era perché compiva 60 anni e la cosa in qualche modo lo destabilizzava e voleva capire com'era l'artista da grande; la seconda volta perché aveva rincontrato Venditti e anche questa cosa lo aveva destabilizzato e voleva storicizzarla; questa volta ha avuto un'idea stranissima di partenza che è quella di risuonare in un teatro piccolissimo, di 180 posti senza palcoscenico quindi col pubblico a contatto praticamente, di risuonare la parte sconosciuta, la parte in ombra, l'altra faccia della luna del suo repertorio e di farlo sera dopo sera chiamando ogni volta un ospite straordinario."

Momenti intimi, coinvolgenti, in cui il pubblico è chiamato a pendere dalle labbra di De Gregori e i suoi ospiti. "Ci sono Zucchero, Jovanotti, Ligabue" ha ricordato il regista, "personaggi di questo calibro a dargli una mano a cantare qualche canzone insieme. E di tutto questo abbiamo fatto un film per far sì che anche il resto del pubblico che non è potuto venire a Milano a vedere questo spettacolo potesse condividere questa immersione nel De Gregori sconosciuto."
Piccoli concerti per grandi scoperte
E ci sono canzoni che lo stesso Stefano Pistolini ha scoperto grazie a questa esperienza? "Una cosa che mi ha molto divertito è che lui ha inserito all'interno delle sue scalette dei pezzi sconosciuto, i perfetti sconosciuti come li chiama lui, ma anche canzoni non sue: fa un pezzo di Elvis Presley, uno di Bob Dylan, duetta su un brano storico dei partigiani italiani della Seconda Guerra Mondiale. È un po' la sua concezione della musica mettere insieme le cose che gli piacciono e scavarci dentro. Farle, rifarle, come ha sempre fatto da quando ha cominciato a essere quello che è."

Un approccio che è stato necessario assecondare con la messa in scena. "De Gregori è un brutto cliente" ha spiegato il regista, "perché non sembra ma controlla tutto. Segue tutto, ma pudicamente non dice niente, quindi bisogna capirsi prima. In questo caso mi aveva posto un'unica condizione prima di cominciare: mi ha detto 'non voglio parlare, non voglio mettermi lì e raccontare', perché lo trovava ridondante. Per il resto abbiamo potuto fare quello che volevamo e ci ha dato accesso a tutto lo spazio di quel teatro per un mese. Stavamo dentro con la band, con lui, con gli ospiti", potendo seguire anche le prove del pomeriggio quando gli artisti arrivavano e si provavano delle cose. "Quindi diciamo che l'intimità è un po' la chiave del film."
Un nuovo modo di fare documentari
Ci colpisce quanto detto sul non voler parlare, perché ci sembra una tendenza che si sta affermando sempre più in ambito documentaristico. Pensiamo al film di Lettieri su Pino Daniele, che mostra poco gli interventi a schermo ma ne usa solo il voice over, o lo stesso documentario su Piero Pelù presentato a Venezia: "Facendo da tanti anni documentari, inchieste, approfondimenti di questo genere, l'intervista seduta la trovo la formula sicuramente più facile perché metti a sedere una persona e la fai parlare, però anche la meno evoluta del raccontare una storia. Agire in modo diverso richiede un certo pensiero e forse un po' di analisi ed elaborazione, però vale decisamente la pena. È effettivamente una tendenza che sta man mano cambiando."

Anche perché parallelamente siamo invasi sui social da contenuti basati su qualcuno che parla, così quando guardiamo un film ci aspettiamo qualcosa di più strutturato e complesso. "Secondo me da un film ti aspetti fondamentalmente un flusso di emozioni. Se ricevi un impatto emotivo, uno slancio emotivo più forte, credo l'energia sia tutta diversa e forse anche il ricordo di quello che hai visto." Il modo migliore per raccontare un artista come pochi, di uno spessore sempre più raro. "Sono cambiati tanti parametri, soprattutto di consumo. De Gregori è supremo in quello che fa, ma oggi ci sono anche ragazzi e ragazzini che fanno cose diverse, straordinarie, però il modo di accesso a quello che fanno, il modo di comprensione di consumo è completamente diverso."