All'inizio della nostra recensione di Fran Lebowitz: una vita a New York dobbiamo, per prima cosa, porre l'accento sulla musica che accompagna i titoli di testa di (quasi) tutte le sette brevi puntate, della durata di mezz'ora l'una, che compongono la miniserie diretta da Martin Scorsese e disponibile su Netflix. Si tratta dell'indimenticabile musica di Nino Rota composta per il film La dolce vita di Federico Fellini, la famosa marcetta allegra, perfettamente riconoscibile da noi italiani, che, però, si sposa completamente anche all'universo newyorkese raccontato attraverso gli occhi e, soprattutto, le parole di Fran Lebowitz. È un gioco metatestuale che un cineasta come Scorsese non sceglie a caso: tanto era ricco, variegato, strambo ed eclettico il mondo felliniano, così si trasforma New York e, di conseguenza, il mondo intero sotto lo sguardo della scrittrice, opinionista e umorista newyorkese.
Metti due amici al tavolo di un bar
A metà strada tra l'intervista informale e la collezione di filmati d'archivio, la miniserie ha un solo punto centrale: Fran Lebowitz. Invitata da Martin Scorsese al tavolo del prestigioso locale privato The Players di New York, la scrittrice diventa il vero e proprio motore della serie. Una serie, va detto, abbastanza atipica: non è un biopic tradizionale, eppure alla fine ti sembra di aver compreso non solo il personaggio e la storia della protagonista che dà il titolo all'opera, ma la sua stessa vita; non ci sono una tesi o un tema fondamentale a sostenere il peso delle tre ore e mezza di durata, eppure si ha la sensazione di aver avuto un ritratto non solo di un personaggio, ma anche del significato del vivere in una città come New York. Sia chiaro: questo eclettismo e questa natura atipica non è da considerarsi un difetto o una semplice confusione di scrittura. Viaggiando attraverso varie tematiche (su cui le puntate sono più o meno divise: lo sport e la salute, la lettura e il potere dei libri, i viaggi e i passatempi) affrontate apertamente e improvvisate, la miniserie mostra il suo vero cuore e la sua vera anima da documentario. Imprevedibile e piena di sfumature, la vita di Fran Lebowitz immersa in una città come New York è pregna di colore nonostante lei stessa faccia di tutto per allontanarsi da quella stessa forza vitale che va raccontando.
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L'antipatica simpatia di una donna di nome Fran
Intima eppure collettiva. Confusa eppure centrata. Episodica eppure perfetta per un bingewatching. In queste contraddizioni l'unica certezza sembra essere la natura allo stesso tempo simpatica e antipatica di Fran Lebowitz. Senza peli sulla lingua, arguta e intelligente, la scrittrice riesce ad avere un'opinione (personale) per ogni cosa, con una linea di pensiero che, seppure a prima vista piena di sfumature e sfaccettature, rimane coerentissima. Si ride parecchio durante la visione (e spesso la risata di Scorsese che non riesce a trattenersi di fronte a certe osservazioni dell'intervistata contribuisce molto a contagiare lo spettatore), la stessa risata che è allo stesso tempo amara ma inevitabile. Più che un documentario si ha la sensazione di assistere a una stand up comedy improvvisata. Poco importa se i filmati di repertorio tentino di tenere a freno e di dare un ordine più formale al tutto: l'umorismo della Lebowitz riesce a capovolgere il nostro sguardo sulla realtà. Proprio spogliando gli argomenti di ogni filtro "politicamente corretto", a volte trovando la nostra simpatia, altre volte trovandoci in disaccordo, ciò che emerge è la figura della scrittrice e la sua visione del mondo.
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Regina di New York
In una delle sequenze che torneranno spesso nel corso dei sette episodi, vediamo Fran Lebowitz camminare lungo un gigantesco plastico di New York. Non è un caso che Scorsese riprenda spesso la sua figura oltrepassare con un lungo passo i ponti della città o ad osservare dall'alto le miniature dei palazzi e dei grattacieli. La miniserie è il racconto di una regina, che non sempre ama la propria città (anzi, a volte si ha l'impressione che proprio la detesti) ma che non riesce a separarsene. Guarda New York dall'alto verso il basso, eppure proprio grazie a questo sguardo disincantato, che sfiora una misantropia simile a quella di Woody Allen (da notare come i titoli di testa e di coda utilizzino un font simile a quello dei film del regista), ci sembra di venire a conoscenza non solo di una persona unica nel suo genere, ma anche di qualche vero significato dell'esistenza. Sempre che ce ne sia uno.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Fran Lebowitz: una vita a New York con un bel sorriso stampato sulla faccia. Più che essere interessatio alla biografia della scrittrice, il documentario preferisce dar spazio alle parole e alle opinioni della settantenne su vari aspetti della sua personalità, della città dove vive e della sua visione del mondo, senza filtri e politicamente scorretta. Si ride parecchio e di gusto durante le sette puntate, ma si ha anche la sensazione, a fine visione, di aver capito un po’ di più non solo il personaggio protagonista ma anche la città di New York. E se le contraddizioni che ne escono possono confondere, la certezza è quella di aver passato un’ottima e divertente serata tra amici al tavolo di un bar.
Perché ci piace
- Il personaggio di Fran Lebowitz ha un’opinione per ogni cosa: senza filtri e arguta si tratta di una visione interessante e divertente.
- La regia di Scorsese riesce a contrapporre la protagonista con la vita di un’intera città.
- Le puntate hanno ritmo e non annoiano mai rendendo la serie perfetta per il bingewatching.
Cosa non va
- Mancando di un tema principale, qualche spettatore potrebbe perdere interesse.