Recensione Postcards From The Zoo (2011)

Con atmosfera onirica e rarefatta, Edwin è abile a comunicare il senso di perdita, di smarrimento, ma rischia di dilatare troppo i tempi e perdere l'attenzione dello spettatore.

Frammenti di isolamento

Abbandonata allo zoo dal padre quando era molto piccola, Lana viene cresciuta dal personale del parco e vive in un mondo surreale, fatto di animali e di ambienti chiusi, separati tra loro. Un mondo rarefatto, in cui imparare ad amare tigri, ippopotami e soprattutto la giraffa, della quale sogna di riuscire a toccare la pancia. Il contatto è infatti uno dei bisogni proncipali di Lana, creaciuta senza la presenza rassicurante dei genitori e i loro abbracci.
Qualcosa cambia nel suo mondo all'arrivo di un uomo, un cowboy in grado di fare tricchi di magia, per il quale sviluppa un'attrazione. Con lui Lana esce per la prima volta dai sicuri confini dello zoo, ma quando l'uomo sparisce improvvisamente, la ragazza viene assunta in un centro termale gestito dalla malavita, finendo per diventare una massaggiatrice poco vestita, con il compito di dedicare attenzioni particolari ai clienti.

Come suggerisce il titolo internazionale Postcards from the Zoo, sono delle cartoline che il regista Edwin regala allo spettatore, immagini frammentarie, a momenti apparentemente slegate, che seguono Lana sin dai primi anni di vita, mentre si perde nella monotonia quotidiana del parco. L'atmosfera è onirica, rarefatta, eterea, anche grazie all'incantevole fotografia ed alla capacità di cogliere momenti delicati di interazione tra gli uomini e gli animali del parco: quello di Lana è un mondo dominato da un senso di perdita, di smarrimento, abitato da esseri viventi, animali e umani, che vivono al di fuori del loro habitat naturale. Sono smarriti, ma ciononostante riescono ad adattarsi e sopravvivere.
Edwin è abile a comunicare tutto ciò, a trasmettere il bisogno di contatto della ragazza, l'unico legame che ancora conserva col padre, che troverà compimento nella sua attività di massaggiatrice, a mettere in scena il senso di apatica sofferenza. E solo nel finale sembra perdere un po' il polso della situazione, dilatando troppo i tempi e non illustrando a sufficienza alcuni passaggi, rischiando di perdere l'attenzione dello spettatore.
Ma è anche grazie alla bravura della protagonista Ladya Cheryl, già apparsa anche nell'esordio del regista, che Postcards from the Zoo riesce ad emozionare, alla sua espressione ingenua e sempre tra le nuvole, alla delicatezza, alla leggerezza. La giovane attrice si adatta, come la progagonista, alle situazioni e risulta credibile anche quando la vita di Lana cambia, portandola a contatto con un mondo e diverso da quello in cui è cresciuta, con le difficoltà di un animale che, liberato dopo anni in cattività, debba adattarsi ad essere libero.

Movieplayer.it

3.0/5