Quattro Figlie (Four Daughters - Les filles d'Olfa, titolo originale) di Kaouther Ben Hania è un film dalla possente portata narrativa. Sembra di assistere ad una pièce teatrale, ma intanto si trasforma in cinema, per poi mutare in rappresentazione scenica - quasi come fosse una recita scolastica - e ancora, sul finale, in uno spiazzante documentario, con tanto di immagini di repertorio. È un film fluido nelle sue svolte, nonché una testimonianza reale e fortemente simbolica, sia nella narrativa quanto nella cronaca. Dall'altra parte, come il cinema celebrale richiede (celebrale, ma anche molto dolce), Four Daughters, presentato in Concorso a Cannes 2023, richiede uno sforzo in più: la visione non può prescindere dalle migliaia di parole pronunciate dalle splendide protagoniste.
Parole veloci, taglienti, libere. Parole che fluttuano senza apparente motivo, ma che poi finiranno per costituire il quadro finale. Un fluire di suggestioni, di richiami, di ricordi. Ricordi che girano, appunto, attorno al pensiero di una madre tunisina, Olfa, e attorno alle sue due figlie, Eya Chikahoui e Tayssir Chikhaoui. E le altre due, quelle che compongono il titolo del film? Sono interpretate da Nour Karoui e da Ichraq Matar. Ci sono, per tutto il film, ma non ci sono. Sono lontane, da qualche parte, disperse in una sorta di mondo contrario e parallelo rispetto al vero credo islamico, religioso e culturale.
L'azzurro, il nero, il rosso
E così, in un certo senso, Kaouther Ben Hania, prova a colmare il vuoto di una madre con quello che sarà un film in grado di riaprire "vecchie ferite", anche per l'originale e inusuale scelta stilistica opzionata dalla regista, che si appoggia tanto al montaggio quanto alla colonna sonora. Dunque, all'inizio, e in uno dei momenti più belli, Olfa, Eya e Tayssir modo ritrovano in Nour Karoui e in Ichraq Matar (strepitose) quelle figure perse, chiamate figlie e chiamate sorelle. Da qui, inizia un ibrido, una sorta di laboratorio narrativo in cui viene mischiata la realtà con la raffigurazione, tenendo a fuoco tre colori che pervadono le scene, ossia l'azzurro delle pareti, il nero corvino dei capelli delle ragazze, il rosso vivo dei loro rossetti e il rosso vitale di una hijab sciolta sul collo di Olfa. Un tavolozza di colori in netto contrasto in Quattro figlie, e per questo straordinari nell'accostamento. Sarà la star tunisina Hend Sabri a vestire i panni di Olfa, mettendo in scena i momenti che hanno portato la donna a reagire verso il mondo musulmano conservatore, dalla prima e drammatica notte di nozze fino alla nascita delle quattro figlie, e poi raccontando il successivo divorzio.
Più strade narrative, un grande risultato
Tuttavia, passando anche attraverso i cunicoli più stretti e controversi, sorretti dall'aberrante idea che ci fosse un Dio patriarcale a vegliare sullo stile di vita delle ragazze. Perché poi sarebbe assurdo non soffermarsi sul contesto, sul senso sociale e comunitario pre e post Primavera Araba: per questo, Kaouther Ben Hania sceglie più strade narrative, sceglie di confrontarsi con il passato e con il presente di una famiglia mutilata eppure ancora più coesa. E lo dimostrano, prima del fatidico atto finale (che arriva dinamitardo, quasi extra-contesto, creando uno sfarfallio nell'impeccabile omogeneità), i sorrisi e le risate delle ragazze.
Ecco, è proprio nei loro folgoranti sguardi che Four Daughters diventa un atto di ribellione improvvisata e istintiva, possente nella struttura, meticolosa nella libera concezione di un copione scorporato e suggerito da un dinamismo concentrato negli spazi chiusi, sfruttati dalla regista come se fossero dei veri e propri palcoscenici. Del resto, se quella di Quattro Figlie è una storia vera (se ne è discusso molto nel 2016, quando Olfa Hamrouni ha raccontato la radicalizzazione delle sue due figlie maggiori), Kaouther Ben Hania la rende materiale duttile, e adatta ad una sperimentazione che non può non lasciare meravigliati, e perdutamente coinvolti.
Conclusioni
Come scritto nella nostra recensione di Four Daughters, diretto dalla tunisina Kaouther Ben Hania, il film miscela cinema, documentario, cronaca, rappresentazione scenica. Un linguaggio ibrido, sviluppato dalla regista in base ai sorrisi e alle emozioni delle splendide protagoniste.
Perché ci piace
- I volti, le risate, i sorrisi delle protagoniste.
- I colori.
- L'inusuale scelta narrativa.
- La rivelazione finale...
Cosa non va
- ... forse inserita un po' troppo meccanicamente.