Fin dalla prima stagione, Fondazione ha fatto parlare di sé poiché si è allontanata da subito dal corposo e complesso materiale di partenza, ovvero il ciclo letterario di Isaac Asimov, per dar vita a qualcosa di altrettanto affascinante. Parallelamente, si è distinta forse come la miglior serie sci-fi su Apple TV+ per la ricercatezza estetica e la stratificazione narrativa del mondo che andava a costruire. Un universo che non accontentasse gli spettatori, ma che li costringesse a rimanere vigili durante la visione.

Un percorso che ci porta alla terza stagione. Un capitolo che da subito si presenta come un punto di rottura con i precedenti, per via di una scheggia impazzita pronta a mettere in discussione tutto ciò che pensavamo di aver capito di questa PsicoStoria.
Cosa cambia in Fondazione 3?
L'epica saga scritta da David S. Goyer torna 152 anni dopo gli eventi della seconda stagione, e un nuovo ordine intergalattico è in auge. La Fondazione è andata ben oltre le sue umili origini, mentre l'Impero della Dinastia Cleonica ha perso potere: ci troviamo in una sorta di monarchia parlamentare (come il Regno Unito) in cui gli Imperatori non possono più accontentare qualsiasi capriccio gli venga in mente ma devono soppesare le proprie decisioni ad un Consiglio. Ad aiutarli viene mandata l'Ambasciatrice Quent (Cherry Jones).

I Capi di Stato sono rimasti in due, Fratello Alba (Cassian Bilton) e Fratello Tramonto (Terrence Mann): il precedente Alba è fuggito insieme alla Principessa per provare a costruirsi un futuro diverso da quello che Lady Demerzel (Laura Birn) aveva scritto per lui e gli altri. Di conseguenza l'equilibrio inizia a dare segni di cedimento: Alba è pieno di dubbi, Tramonto inizia a perdere colpi, così come Demerzel, che sembra perdere il controllo sui suoi "figli" e sulla propria freddezza non umana.

Parallelamente troviamo anche un nuovo Fratello Giorno (Lee Pace): capelli lunghi, spirito libero e un'amante lontana dalla magione dove vivono i Cloni. Sembra aver intrapreso la modalità hippie e non vuole più saperne dei piani folli di conquista e mantenimento del potere a cui aveva sempre aspirato, senza guardare in faccia a nessuno. Non bisogna dimenticare che Demerzel, dopo aver rivelato nel precedente finale al trio che era lei a controllarli e non viceversa, ha anche cancellato loro la memoria, e non sappiamo fino a che punto.
Punto di rottura nella serie sci-fi
In ogni equazione che si rispetti - Lost insegna - ci sono una variabile a una costante. Pilou Asbæk entra a far parte del cast della serie nei panni del Mulo, ovvero la variabile. Un'entità che sembra super partes e più che conquista, cerca distruzione ovunque vada. Ha il potere più pericoloso al mondo, proprio come l'Uomo Porpora di Jessica Jones, ovvero controllare la mente altrui. Come ad esempio - l'azione più atroce da vedere in scena - costringere una persona ad uccidere se stessa oppure qualcun altro mentre si rende esattamente conto di cosa sta facendo senza poter fermarsi.
Non è tutto: il Mulo è anche l'unico elemento che Hari Seldon (Jared Harris) non è riuscito a prevedere e questo potrebbe cambiare i piani dello PsicoStorico - tanto del suo io Ologramma dentro la Volta quanto del suo io Esterno insieme alla sua 'protetta' Gaal Dornick (Lou Llobell).
Quest'ultima intanto conferma l'adagio dell'allieva che supera il maestro; d'altronde, forse lo aveva già fatto quando l'abbiamo conosciuta nel ciclo inaugurale. Anche lei si trova però in difficoltà di fronte alla new entry e potrebbe dover stabilire un'alleanza con l'ultima persona con cui avrebbe mai pensato di farlo. A questo punto non vi sono più certezze nella complicata matassa che Goyer sviluppa davanti agli occhi degli spettatori, eppure è forse la più lineare vista finora nello show.

Il pubblico assiste ad un rapporto causa e conseguenza che sorprende e tiene incollati allo schermo; perché, proprio come Seldon, vediamo sviluppi che ma avremmo potuto immaginare e prevedere. Alcuni nuovi personaggi, come il trio improbabile e altamente sopra le righe formato da Synnøve Karlsen, Cody Fern e Tómas Lemarquis, porta anche nuove tematiche strutturali: la musica diventa importante, anzi fondamentale.
Un impianto estetico da applausi
Ciò che sorprende - o conferma - ancora una volta di Fondazione è il world building. Incredibile per gli occhi, magnifico, magnetico, sfrutta i cambiamenti narrativi per metterli in atto anche a livello visivo. La regia si fa quasi più intima e sincopata. Così come il montaggio, per rendere al meglio l'evoluzione repentina tra la Seconda e la Terza Crisi.

La fotografia cangiante rappresenta anch'essa il capovolgimento delle dinamiche che investe totalmente questo terzo capitolo e i suoi protagonisti. Si rimane però ugualmente esterrefatti di fronte al mondo raccontato. Più lo conosciamo, forse meno lo comprendiamo. Più ne rimaniamo affascinati, più ne vogliamo cogliere un altro scorcio. Per non fare morire la fantascienza più pura e più totalizzante attualmente in tv.
Conclusioni
La terza stagione di Fondazione è quella del cambiamento per eccellenza. Per i personaggi, investiti dal nuovo arrivato, Il Mulo, pronto a sconvolgere i destini di tutti. Per Hari e Gaal, che non erano riusciti a prevederlo. Per le musiche, più preponderanti perché inserite nel contesto drammaturgico. Per il world building, sempre mozzafiato ma anche cangiante in virtù delle nuove linee narrative. Una stagione che ribalta le carte in tavola e che ci fa entrare ancora una volta nel loop creato da Asimov prima e da Goyer poi.
Perché ci piace
- I cambiamenti e le nuove dinamiche.
- Le new entry tra i protagonisti.
- Il Mulo.
Cosa non va
- Pur essendo la più lineare, potrebbe essere una stagione particolarmente ostica da seguire per le tante linee narrative messe in piedi.
- Proprio il cambiamento generale potrebbe destabilizzare gli spettatori della prima ora.