È un'alternativa a una narrazione che non sentiamo come nostra, la musica. Un universo fatto di note e accordi che sovrasta il silenzio assordante di una quotidianità che ci soffoca, ci aliena, ci rende estranei tra parole invisibili di un brano che ci urla nelle orecchie, lasciandoci vagare in un mondo che vive a un ritmo sincopato, mentre il nostro sfreccia su frequenze distese, come un abbraccio che ricerchiamo, uno sguardo che ci consola.
Nell'universo di John Carney la musica va oltre il proprio ruolo di accompagnatrice sonora e sottolineatura emotiva di contrasti umani, o relazioni destabilizzanti, per elevarsi a quello di un personaggio a se stante. Non più e non solo testimone e commentatore di eventi, l'apparato musicale gioca nell'universo del regista un ruolo attivo e salvifico nell'economia dell'intreccio, giocatore in attacco di una partita della vita in cui la vittoria da chimera lontana si fa adesso speranza accessibile, realtà concreta.
Come sottolineeremo in questa recensione di Flora and Son (ora disponibile su Apple TV+), dopo Once, Tutto può cambiare e Sing Street, lo sguardo sognatore, e confortevole di Carney ritorna tra le strade di quella Dublino dove tutto ha avuto origine, vestendosi di accordi e melodie per tessere le fila di un racconto domestico, realistico, e innestato di speranza e rinascita. Pifferaio magico del cinema, Cagney ammanta il proprio microuniverso cinematografico di suoni e armonie per far uscire dai propri nascondigli speranze e nuovi orizzonti di attesa, senza per questo indugiare su un lieto fine retorico, o edulcorare una realtà dolce-amara, sospesa in un limbo di possibilità che solo l'immaginazione dello spettatore potrà concretizzare.
Flora and Son: la trama
Flora (Eve Hewson) è una mamma single che fatica a gestire il figlio Max (Orén Kinlan), un adolescente ribelle. Incoraggiata dalla polizia a trovargli un hobby, Flora cerca di tenerlo occupato con una chitarra acustica malandata. Il duo madre-figlio torna a vibrare grazie alla magia della musica e all'aiuto di un musicista (Joseph Gordon-Levitt) di Los Angeles ormai dimenticato. E così questo legame frammentato tra madre e figlio torna a consolidarsi in un viaggio verso una nuova armonia.
La musica che ti salva
"È il sorriso della bocca e non quello degli occhi che ti fa capire che qualcosa non è cambiato in chi ascolta". E di sorrisi forzati celanti un'accettazione della realtà auto-impostasi e forse lontana dalle proprie aspettative nei film di John Carney ce ne sono tanti. Sono risate forgiate da una disillusione costante, un'insensibilità che avanza come le onde durante un'alta marea. Ma poi ecco che la musica parte, le mani stuzzicano le corde e l'anima vibra, e tutto cambia per ripartire da capo. Flora and Son più che una rinascita è un'immissione improvvisa tra le vie di una corsia alternativa, un viaggio secondario tra ambienti conosciuti, ma adesso filtrati da nuovi occhi e prospettive. Quello intrapreso da Flora e suo figlio, grazie all'incontro in remoto con il musicista Jack non è un viaggio dell'eroe, ma un arco evolutivo stabilito dalle vibrazioni di una musica che auspica a migliorare non lo stile di vita, quanto l'approccio a un'esistenza che forse rimarrà uguale a se stessa, sebbene diversa e migliore al suo interno.
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Vite ordinarie in musiche straordinarie
Vige e ritorna in Flora and son quella semplicità di racconto che si fa così preminente e caratterizzante nell'opera di John Carney; tutto appare così apparentemente semplice nel proprio sviluppo, così elementare, ma è solo una mera illusione. In realtà il regista coglie e traduce in materiale audiovsivo i piccoli tentennamenti di esistenze ordinarie, così poco speciali perché così simili a quelle poste al di là dello schermo, limitandosi a restituirle nella loro limitata complessità. E allora sarà nel momento in cui si scava al di là di quella superficie così corrosa dal tempo, liberando una sensibilità nascosta sotto armature pesanti che la celavano agli occhi degli altri, che l'essenza di un'opera profonda e introspettiva come Flora and Son potrà fuoriuscire come un canto ovattato prima da pareti insonorizzate, ma adesso libero di farsi sentire in tutta la sua potenza.
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Tutto può cambiare, o forse no
Audace ode alla creatività espressiva di esistenze umili, abitanti la precarietà della vita ai confini della società, il regista non aspira a trasformare i suoi underdog in star della musica. La sua è un'opera che rimane ancorata alla realtà, vola bassa, si nutre della voglia di rialzarsi, senza però aspirare al sole. Ponendo il proprio sguardo ad altezza di quegli sguardi che si fanno finestre su realtà popolari, il regista costruisce un dipinto umano con le sfumature della musica, senza innalzare la propria ripresa, ma conservando un'inquadratura frontale, al massimo schiacciante i suoi protagonisti cogliendoli con riprese angolate che ne sottolineano il precario equilibrio economico e psicologico. Si respira in ogni stacco di raccordo il segno di una maturità di visione e di racconto da parte del regista. La stessa fotografia granulosa, vintage, seppia, di Once si è andata adesso sempre più schiarendosi e/o raffreddandosi per una tavolozza di colori nitidi, vividi e accesi.
Un cambiamento dettato da una maggiore possibilità di risorse che ha fatto del suo cinema una canzone folk ora chiamata ad abbracciare un lato più commerciale, senza per questo perdere la sua immediatezza e unicità. Come una canzone che tenta di insidiarsi nelle membra più profonde della nostra immaginazione, Flora and Son non vuole partire con un prologo di impatto, preferisce lasciare scorrere le parole, assaporare i caratteri delle personalità in campo, stuzzicare la curiosità altrui, potenziare l'attesa e poi colpire con un ritornello e anticipare con un bridge sapientemente costruito. Non esiste uno schema preimpostato per poter eseguire un brano perfetto; è tutta una questione di sensibilità, giudizio, soggettività di chi ascolta e sentenzia. Ciononostante, quando la vita incontra la musica in un salvataggio reciproco, Carney ha saputo stabilire uno schematismo di successo da reiterare. La presentazione dei personaggi, il loro vivere nell'ombra, in punta di piedi e grida di frustrazione, segue l'incontro con la musica, fino a un rialzamento che rischia di far perdere loro quell'equilibrio precario che parevano aver recuperato.
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The dubliners are singing
Con Flora and Son Carney recupera e continua il discorso lasciato in sospeso con Sing Street (si pensi alla realizzazione di videoclip domestici) e come un ritornello martellante, lascia aperto l'accesso sulla psicologia di personaggi così reali, permettendo di stabilire con loro una partecipazione affettiva e un'immedesimazione sincera, immediata e mai forzata. Forte di performance calibrate, e sempre rispondenti alla portata degli umori in campo, grazie a interpreti come Eve Hewson (già apprezzata in The Knick), Jack Reynor e un Joseph Gordon-Levitt forse non del tutto sfruttato, Flora and Son vive di un'umanità quasi tangibile, di un naturalismo generalizzato che fa dell'opera un possibile spaccato di una realtà che probabilmente si vive nei quartieri popolari di Dublino, tra coppie separate, adolescenti ribelli, madri ancora bambine, e bambini costretti a diventare adulti. Il tutto tenuto insieme da quella musica tutta ammanta di riscatto, e possibile rivendicazione personale.
Non vi sono cadute dell'eroe in Flora and Son; tutto vola ad altezza uomo, liberandosi da voli pindarici e atterraggi di fortuna. Il film di Carney è un videoclip fattosi film, e un film fattosi esistenza. Una presa in prestito continua di essenze differenti pronti a rivivere nello spazio di una cinepresa e danzare al ritmo di una musica che tutto cambia, senza forse che nulla cambi mai.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Flora and Son sottolineando come John Carney ancora una volta riesca a trattare esistenze così verosimili innestandole di infinite possibilità con la sola potenza rigenerante della musica. Ulteriore tassello di una galleria umana che affida ad accordi e melodie sogni e speranze, in Flora and Son non vige mai alcun sintomo di retorica, per parlare a tanti, cantando a tutti.
Perché ci piace
- La semplicità solo apparente del racconto
- La potenza intrinseca della musica
- Le performance di interpreti capaci di lasciare accedere il proprio pubblico all'interno dell'anima dei loro personaggi.
- L'inserto di videoclip musicali.
Cosa non va
- Lo sfruttamento minimo di un attore come Joseph Gordon-Lewitt
- La canzone finale forse non così di impatto come poteva essere