Scrittore, autore di documentari, fine conoscitore della letteratura americana, amante di New York e... montanaro. Paolo Cognetti è intrinsecamente innamorato della montagna, il suo luogo dell'anima, tanto da avergli dedicato varie opere tra cui l'acclamato romanzo Le otto montagne, che ha preso la via dello schermo. Non pago dell'esperienza, Cognetti ha scelto di mettersi personalmente dietro la telecamera per raccontare il suo amore per il Monte Rosa. Il risultato è Fiore mio, appassionato racconto di montagna fatto di immagini di grande bellezza, silenzi, natura, camminate e di poche ma sentite testimonianze di chi la montagna l'ha fatta diventare casa sua per scelta o per casualità.
Accompagnato dall'inseparabile Laky, amico a quattro zampe che Cognetti ha definito "il mio maestro zen", il regista si infila gli scarponi esplorando gli spazi sconfinati e i sentieri rocciosi sormontati da cieli tersi per approdare, infine, al rifugio. Cognetti prende per mano lo spettatore mostrandogli la maestosità della montagna attraverso il suo sguardo innamorato, ma allo stesso tempo ne svela la fragilità di fronte a fenomeni come il cambiamento climatico, che rischiamo di snaturarne l'essenza.
Seguendo l'acqua
La molla che ha fatto scattare a Paolo Cognetti il desiderio di raccontare la SUA montagna è stata la siccità dell'estate 2022, quando ha visto esaurirsi la fonte della sua casa di Estoul, villaggio a 1700 metri in Valle D'Aosta, nei pressi del Monte Rosa. Viaggio intimo fatto di silenzi, poesia e contemplazione, Fiore mio è un racconto lirico per immagini che vuole imprimere nella memoria collettiva, e in primis del suo autore, la bellezza di eccezionali meraviglie della natura che potrebbero un giorno sparire. Ma il film assume una dimensione più mondana nei momenti in cui Paolo Cognetti decide di condividere le sue riflessioni sulla montagna con amici, esperti o con chi la montagna la vive quotidianamente perché vi lavora.
Significativo è il dialogo tra Cognetti e l'amico Remigio, che svela la vera origine del nome del Monte che sovrasta le loro abitazioni. Rosa non per il colore assoluto al tramonto per via della luce del sole, ma dal nome longobardo Roise, Roises e Royses, che significa ghiaccio. E i ghiacciai sono proprio gli elementi naturali più a rischio con l'aumento delle temperature globali. Così, seguendo il percorso dell'acqua, Paolo Cognetti lascia la sua casa per far visita al sovrastante rifugio di Orestes Huette, primo e unico rifugio vegano delle Alpi, per raccogliere le testimonianze del personale e dei visitatori.
Il valore del silenzio e quello dell'amicizia
La parte centrale di Fiore mio è occupata dalle testimonianze di coloro che sono legati sentimentalmente alla montagna e che, dialogando con Paolo Cognetti, colgono l'occasione per raccontare qualcosa di se stessi in una sorta di processo confessionale intimo e personalissimo. Facciamo così la conoscenza di personaggi come l'alpinista esperto Arturo Squinobal, come Corinne, la vegana Marta o Sete, sherpa che ha scalato Everest, Manaslu e Daulaghiri, e adesso si divide tra Italia e Nepal, lavorando sulle Alpi d'estate e d'inverno, mentre in autunno e in primavera fa la guida per i trekking in Himalaya, dove lo attendono moglie e figli.
Decisamente meno esperto di montagna, come confessa lui stesso, è Vasco Brondi, amico fraterno di Cognetti che per la prima volta si cimenta nella composizione della raffinata colonna sonora eseguendo il brano che chiude il documentario, Ascoltare gli alberi. E l'ascolto della natura è la pratica a cui ci invita tutti Cognetti col suo film, che della montagna condivide il ritmo lento e meditativo, ma anche qualche sprazzo di eccentrica follia, di quella piccola o grande sorpresa che può celarsi dietro una roccia o un'ansa del sentiero, riempiendo lo sguardo dell'esploratore di autentica meraviglia. Proprio come un fiore di montagna.
Conclusioni
Come svela la nostra recensione di Fiore mio, il documentario di Paolo Cognetti, qui per la prima volta alla regia, è un racconto intimo e poetico del suo rapporto con la montagna che si svolge per immagini, ma si avvale anche delle voci di amici, esperti e appassionati che, come lui, vivono l'essenza dei monti in ogni stagione seguendo con preoccupazione le conseguenze del cambiamento climatico.
Perché ci piace
- La bellezza assoluta dei paesaggi.
- I ritratti dei personaggi che emergono dai dialoghi col regista.
- La colonna sonora raffinata e poetica di Vasco Brondi che si sposa perfettamente con le immagini.
Cosa non va
- Il discorso dei cambiamenti che la montagna sta subendo resta in sospeso.