Daphne (Daphne Scoccia) è una ragazza che vede la maggiore età da lontano, che sfrutta l'adolescenza per conoscere il mondo dal lato sbagliato: lo fa con un coltello in mano, sempre di spalle alle persone e mai di fronte, sfruttando gli angoli bui e i momenti di debolezza per sfilare cellulari dalle tasche e rubacchiare una vita normale. Un'esistenza solitaria, che parla poco e che quando lo fa sembra non riuscire ad esprimere altro che un bisogno d'affetto, costantemente deluso e tradotto in una panchina solitaria in stazione. Ci vuole poco perché Daphne raggiunga un vicolo cieco e venga trascinata di nuovo in una struttura carceraria minorile, in cui la sua esperienza si incastra a quelle di altri giovani come lei, come tanti piccoli pezzi di un puzzle.
All'interno della vita carceraria Claudio Giovannesi si muove con attenzione e cerca il suo Fiore un'inquadratura dopo l'altra, raccontandone la (a)normalità all'interno di una situazione che nonostante le sue regole, le ovvie restrizioni e le inevitabili difficoltà riesce comunque a ritagliarsi piccoli spazi di crescita, che riescono a sbocciare pur essendo soffocati. Dietro le sbarre Daphne si conquista la sua musica, si guadagna l'amicizia di Josh e poi il suo amore, irruento e selvatico; crea amicizie semplici ma essenziali, scambi di rossetti, risate e voglia di provare una nuova pettinatura; evolve inimicizie che spesso terminano in insulti e occhiatacce; matura un rapporto con un padre assente e disconnesso, che lei sente sottopelle al punto di tatuarne il nome. Cresce, semplicemente, con determinazione e bellezza: nonostante il terreno non sia fertile, nonostante non venga innaffiata costantemente, nonostante il sole riesca ad illuminarla solo per pochi istanti. Cresce grazie alla forza di un sentimento che riesce a superare le sbarre e che le darà finalmente tutto ciò che aveva costantemente cercato.
Adolescenza, istruzioni per l'uso
Mette il punto e va a capo Claudio Giovannesi, ma nonostante tutto il paragrafo della sua filmografia dedicato all'adolescenza e al rapporto tra genitori e figli non sembra ancora concluso. È così d'altronde che aveva iniziato, con La casa sulle nuvole e la storia di due fratelli alla ricerca di un padre desertico; allo stesso modo aveva continuato con Alì ha gli occhi azzurri, in cui correva dietro a Nader e alla sua voglia di ribellione, non solo dalla sua età anagrafica ma anche dalle tradizioni, dalla religione, dalla legalità. Ora c'è invece Daphne davanti a lui, gli occhi grandi pieni d'amore inespresso e di ferite che la vita le ha inferto; il percorso diventa così quasi inverso, come un elastico che dopo essere stato teso fino all'estremo torna indietro violentemente.
Nader aveva bisogno di uscire dal nucleo familiare, mentre Daphne non vorrebbe altro che ritornarci, nonostante le innumerevoli porte sbarrate che suo padre (Valerio Mastandrea) le chiude davanti. Un passo alla volta però l'elastico torna a rilassarsi, allo stesso modo il loro rapporto sembra trovare una nuova dimensione fatta di piccoli passi in punta di piedi, a volte claudicanti ma pieni di buona volontà. Quel moto paterno diventa per la protagonista trampolino di lancio verso una sentimentalità finalmente possibile, ed è grazie a Josh (Josciua Algeri) che Daphne riesce a trovare quell'amore che le è costantemente negato dal nucleo familiare e dall'ambiente in cui si trova, dove dietro le sbarre non viene chiusa solo la libertà personale ma anche quella sentimentale. L'amore per Daphne è una lotta: si esprime in bigliettini nascosti nei carrelli, in baci tra pezzi di metallo e in intimità rubate di notte tra una finestra e l'altra, dove nascono sguardi vogliosi e occhiate profonde. Troverà finalmente la sua soluzione finale fuori da quella prigione, superando tutti gli ostacoli ed esprimendosi finalmente al di fuori di qualsiasi restrizione.
Tra conferme e sorprese, i volti fanno la differenza
Storie viscerali come quella di Daphne necessitano di respirare attraverso performance attoriali che sappiano restituirne tutta la profonda intimità: non è un lavoro semplice, ma Daphne Scoccia sembra essere nata per farlo.La sua fisicità esile ma scattosa, il suo volto capace con un gioco d'ombra di apparire feroce e violento quanto debole e delicato, ogni elemento sembra offrirsi al gioco del suo personaggio esaltandone ogni momento, dagli schiaffi alle compagne fino ad una carezza in un sogno. La accompagna per mano Valerio Mastandrea, che sfrutta al contrario la sua esperienza per far emergere i tratti di un padre in divenire, che tenta di ricostruire se stesso e di farlo senza lasciare da parte il rapporto con sua figlia, offrendole quasi inconsapevolmente un'occasione di rinascita. Fiore è un film che si serve principalmente dei suoi attori, così come di una sensibilità registica che continua un discorso iniziato in precedenza ma non per questo sembra aver esaurito le cose da dire, che anzi vengono presentate di nuovo con puntualità e attenzione, rendendo il percorso di Claudio Giovannesi ancora una volta importante.
Movieplayer.it
3.0/5