Sulla terrazza di uno degli hotel più belli della Croisette, il cast di Fiore si guarda intorno raramente, come se ancora quei ragazzi non riuscissero a credere di essere davvero seduti a bordo piscina a parlare con dei giornalisti. Tra Daphne Scoccia e Josciua Algeri siede colui che li ha cercati e li ha portati fino alla Quinzaine des Réalisateurs, Claudio Giovannesi, che ancora oggi sembra non poter fare a meno di guidarli in piccoli gesti. Daphne e Josciua non sono abituati al mondo in cui li ha trascinati Giovannesi, e si vede: spesso parlano a bassa voce, dicono troppo o troppo poco, ma con la loro semplicità insegnano a tutti una grande lezione. "Questo è solo un circo, non è la vita vera", risponde con enorme lucidità Daphne Scoccia quando le viene chiesto com'è essere al Festival di Cannes. "Per me la vita vera è una vecchia Punto parcheggiata sotto casa, non una Maserati fuori dall'albergo".
I due dimostrano di essere rimasti con i piedi per terra, e come non potrebbero: entrambi hanno storie difficili, le stesse dei loro personaggi, racconti di un'adolescenza interrotta che li ha fatti sbocciare e diventare nonostante tutto adulti responsabili. "Avevo paura di non poter venire, perché la condanna non mi permette di espatriare", racconta Josciua Algeri, che condannato lo è davvero e non solo nel film: ex detenuto in un carcere minorile, ha preso l'aereo per due volte, una per essere trasferito nel penitenziario a Palermo e una per venire al Festival di Cannes. E ora, ha le idee molto chiare sul suo futuro. "Voglio proseguire su questa strada e fare l'attore. Anche per la mia bambina, che ora ha otto mesi ed è la cosa più bella della mia vita".
Claudio Giovannesi: "La sceneggiatura l'ha scritta il carcere"
Interpreti non professionisti ma vicini alla materia prima del film, luoghi reali, vicende reali: per realizzare tutto questo a Claudio Giovannesi sono voluti sei mesi di preparazione, vissuti all'interno di un carcere minorile. "La scrittura è nata all'interno del carcere, con gli stessi detenuti. Abbiamo passato con loro sei mesi e abbiamo conquistato la loro fiducia. Ci facevano leggere i bigliettini, ci spiegavano come funziona la divisione tra maschi e femmine, o i loro corsi di recupero. La sfilata di moda, le lettere d'amore nel carrello del pranzo, i rossetti proibiti... Tutte le cose che sembrano più assurde in realtà sono vere, le abbiamo prese da lì."
Difficile è stato però trovare una struttura pronta ad accogliere le riprese: "Abbiamo girato a lungo, io avrei voluto fare il film a Roma ma quando hanno capito i nostri orari ci hanno detto che non coincidevano con quelli di detenzione. Mi serviva una struttura precisa, che fosse simile a quella che avevo vissuto a Casal del Marmo", racconta Claudio Giovannesi. "Alla fine abbiamo trovato a l'Aquila un carcere esattamente come lo cercavamo, dichiarato inagibile dopo il terremoto e poi ristrutturato, ma ancora non consegnato. C'erano perfino le guardie carcerarie, ma la struttura era ancora vuota... Alla fine i detenuti li abbiamo portati noi".
Daphne Scoccia: "Recitare una telefonata è la cosa più complicata"
Lavorare con attori non professionisti non è facile per un regista, ma lo è ancora di meno per chi si trova per la prima volta di fronte ad una telecamera: "La cosa più difficile per me è stata recitare la telefonata", racconta Daphne Scoccia, "dall'altra parte del telefono non c'era nessuno e non sapevo come comportarmi. Alla fine Claudio ha continuato a darmi indicazioni ma sono scoppiata a piangere". Diverso è stato con Josciua, che avendo fatto un corso di teatro in carcere era pronto a fare un discorso più profondo. "Con Claudio abbiamo lavorato a livello interiore e umano: mi ha aiutato a tirare fuori i lati positivi della mia esperienza in carcere. Ci siamo confrontati molto anche in base alle altre scene e alla location", rivela Josciua Algeri, che essendo ex detenuto ha avuto anche il compito di fare da consulente esterno durante tutti i giorni di set.
"Il carcere è un'esperienza fortissima", conclude Claudio Giovannesi, "E ho imparato che nonostante gli adolescenti siano colpevoli agli occhi della legge la loro innocenza è una cosa che nessuno può togliere. Per questo il finale è così libero: racconta un mondo che non essendo ancora adulto non si preoccupa delle conseguenze, ma vive solo la felicità dell'attimo. L'adolescente non fa progetti, e si prende la libertà di far trionfare l'amore".