Sono passati vent'anni da Big Night. Vent'anni costellati da successi attoriali, ruoli indimenticabili e performance camaleontiche. Tra un film e l'altro Stanley Tucci ha girato altri tre lungometraggi. Per la sua quinta regia, l'attore ha scelto una passerella lusso come il Festival di Berlino. Final Portrait è un biopic artistico molto speciale. Il film si svolge in 18 giorni e racconta il curioso incontro tra il pittore e scultore svizzero Alberto Giacometti e il critico d'arte americano James Lord. Nel 1964 Giacometti chiese a Lord di posare per un ritratto. Quello che avrebbe dovuto essere il lavoro di una settimana, si dilatò a dismisura per via dell'indecisione e delle intemperanze di Giacometti e per le numerose interruzioni causate dal burrascoso rapporto dell'artista con le donne. A interpretare Alberto Giacometti è l'istrionico Geoffrey Rush, il ruolo di James Lord è stato affidato all'affascinante Armie Hammer, mentre la francese Clémence Poésy incarna Caroline, una delle tante muse di Giacometti.
Parlando del suo progetto, un lavoro molto personale in cui è contenuta la sua idea di arte, Stanley Tucci confessa: "Erano dieci anni che non dirigevo film, ma quella del regista è un mestiere che adoro. E' molto eccitante. Di solito non trovo interessanti i biopic, ma in questo caso volevo trovare un macrocosmo, il caos in cui Giacometti viveva. Ho deciso di accostarmi alla sua figura con molto rispetto. La storia è basata su un libro che avevo letto moltissimi anni fa. Ho impiegato vent'anni per trovare i soldi e le forze necessarie per realizzare questo progetto". Tucci chiarisce, inoltre, il motivo della scelta di affidare il ruolo di Giacometti a Geoffrey Rush: "Non volevo essere io a interpretare Giacometti perché pensavo che con un altro attore sarebbe venuto un film migliore. Non volevo che diventasse un vanity project. In vent'anni credo di essere migliorato come regista, oggi credo di capire meglio il passo e il ritmo di un'opera. Sono molto meticoloso, amo provare, ma voglio anche conservare un po' di spontaneità. Ora che ho un po' più di esperienza, credo di essere anche più maturo".
Nella Parigi di Alberto Giacometti
Il ruolo del critico d'arte e biografo James Lord, ironico e compassato, sembra fatto apposta per Armie Hammer. Le visite lavorative dell'attore californiano in Europa si fanno sempre più frequenti e il passion project di Stanley Tucci lo vede in prima fila, pronto a difendere il lavoro del suo regista. Come ci racconta Hammer: "Ho lavorato spesso con registi che sono anche attori e Stanley e fantastico. Sa perfettamente cosa un attore vuole e di cosa ha bisogno. Siamo onesti, Stanley è un personaggio molto affascinante, ma è anche uno dei registi più ordinati e meticolosi con cui abbia mai lavorato. Lo rifarei subito". Dello stesso parere anche Clemence Poesy, la quale confessa: "E' la seconda volta che lavoro a un period film e ho notato subito l'ordine e il rigore di Stanley sul set. Di solito è tutto molto più caotico".
A questo punto viene spontaneo chiedere a Stanley Tucci quale sia il segreto del suo stile: "Il primo problema che mi sono posto riguardava il look del film. Al centro della storia c'è un pittore quindi i colori e la scenografia dovevano riprodurre la sua arte. In un primo tempo ho pensato a realizzare il film in bianco e nero, ma così sarebbe stato troppo difficile da distribuire. Final Portrait è ambientato negli anni '60 a Parigi e non volevo fornire un'immagine nostalgica o romantica della città, volevo un risultato molto reale. Ho girato tutto il film usando due camere in simultanea. Così siamo stati molto rapidi, era tutto integrato nel set e avevamo sempre a disposizione angoli di ripresa diversi. Questo ci ha permesso di registrare l'energia vera del set, mantenendo il tono consistente nel modo più naturalistico possibile".
L'insostenibile incompiutezza dell'arte
Parlando del coinvolgimento di Geoffrey Rush in Final Portrait, Stanley Tucci chiarisce: "Geoffrey è entrato a far parte del film due anni prima di girare, mentre raccoglivamo materiale. Ha provato per una settimana, poi abbiamo fatto prove trucco e costumi. Non solo è un attore geniale, ma ha un grande sense of humor, ingrediente essenziale visto che Alberto Giacometti è anche molto divertente". Riguardo al collega, Armie Hammer aggiunge "E' come giocare a tennis con qualcuno che è molto più bravo di te, il tuo gioco si eleva, non puoi che migliorare".
Nel corso dei 18 giorni in cui Giacometti trattiene Lord a Parigi il ritratto viene fatto e sfatto più volte. La ragione? L'insoddisfazione perenne dell'artista che non riesce a fissare su tela la propria ispirazione. Così chiediamo a Stanley Tucci se lui sia soddisfatto del suo film o se abbia lasciato qualcosa di incompiuto: "Per costruire il film mi sono basato sulla struttura del libro e su molti dialoghi, trasferendoli di peso nella mia opera. Oltre a ciò, ho dovuto basarmi sulla mia creatività. Non potevo raccontare solo la storia di un uomo che ritrae un altro uomo. Se fosse così, vedendo il film ci spareremmo tutti. Ogni film ha la sua storia e per questo ho impiegato vent'anni. Le immagini che vedete sono il prodotto finale. Quando guardo al film nella sua totalità non so cosa cambierei, forse risponderò a questa domanda tra dieci anni. Un regista non può lasciare un'opera incompiuta come un pittore, ha uno schedule da rispettare. Deve finire, che sia buono o cattivo. Quel che posso dire è che qualsiasi sia il giudizio sul film, è solo colpa mia". Stanley Tucci conclude l'incontro specificando che il ritratto di James Lord, pur essendo frutto di un compromesso tra l'idea di Giacometti e il tempo di realizzazione, l'anno scorso è stato rivenduto per 20 milioni di dollari. Niente male per un'opera "incompiuta".