Ricostruire, ricreare. Sono queste le parole che spuntano se andiamo a cercare il significato di remake. Ed è questo ciò che fa la nuova versione di Final Fantasy VII nel suo cammino nelle recenti generazioni di console, dal primo capitolo uscito tra il 2020 e 2021 su PS4 prima e PS5 poi, fino al nuovo Rebirth, disponibile dal 29 febbraio in esclusiva per PS5: ripropone, ricrea e riscrive un capolavoro. Iniziava già a farlo il primo capitolo, ma completa l'opera questo secondo, migliorando un gioco già ottimo per portarlo a un livello superiore e renderlo in qualche modo il JRPG definitivo, almeno per quanto riguarda quelli usciti negli ultimi anni, quello con il quale dovranno confrontarsi tutti gli altri esponenti del genere da qui in avanti.
Ne siamo certi nell'affrontare questa recensione di Final Fantasy VII: Rebirth, perché ci siamo trovati a giocare un prodotto che prende quanto di buono fatto già qualche anno fa e lo migliora ulteriormente, smussando gli angoli, aggiungendo ampiezza a quanto il giocatore può fare e come può farlo, senza mai trascurare l'aspetto che più di tutti preme a noi che siamo attenti alla componente cinematografica e narrativa dell'opera: la storia, il lavoro sul racconto e sui personaggi che lo animano, che viene portato a un livello di epica ed emotività di portata superiore.
Proseguire il racconto
Riparte da dove eravamo rimasti Final Fantasy VII: Rebirth, da quel finale che era momentaneo punto di arrivo, seppur soddisfacente. Si riparte e lo si fa con i tempi e i presupposti corretti, prendendosi il tempo per fare anche un passo indietro e aggiungere dettagli e sfumature al personaggio chiave della storia, ora come negli anni '90: Cloud Strife, protagonista iconico e riconoscibile anche da chi a Final Fantasy VII non ha mai giocato, con il suo taglio di capelli distintivo e quell'inconfondibile, iconica, possente spadona sulla schiena. Si riparte da lui e da Sephiroth, da un rapporto/legame da definire, comprende e approfondire, per poi ripartire con un viaggio che ha una forza e un'ampiezza nettamente superiore a quella del primo titolo.
Non scendiamo nei dettagli, ma chi conosce l'opera del 1997 sa bene a cosa andrà incontro, perché gli eventi sono per lo più quelli già noti, ricalcati con una fedeltà attenta e rispettosa, al netto di qualche deviazione che può far storcere il naso (se non gridare allo scandalo) agli estimatori di vecchia data. Quel che si fa, però, è soprattutto dare maggior respiro e sfumature a una storia già ottima, che ha scritto la storia dei videogiochi e si ripromette di tornare a farlo.
Il cammino dei personaggi di Final Fantasy VII: Rebirth
Cloud e Sephiroth a parte, il cuore di questa storia sono i personaggi. Tutti, dal primo all'ultimo, da Barrett a Tifa ed Aerith che si dividono le attenzioni dei fan, ai quelli secondari con cui i protagonisti incrociano il cammino: volti già noti dal primo capitolo, ma anche New Entry che danno ancora maggior spessore a un mondo che diventa sempre più vivo e complesso. Rebirth è infatti un vero e proprio Open World in cui muoversi con libertà per portare avanti non solo la storia, ma una serie infinita di attività parallele, tra mini giochi (Regina Rossa, il gioco di carte, è una vera droga da cui non si esce), torri da attivare e altre ricerche che permettono da una parte di approfondire il mondo di gioco, dall'altra di ottenere il necessario per potenziare i propri personaggi e costruirne le dinamiche di combattimento con una edificazione strategia da vero gioco di ruolo.
Le dinamiche di gameplay, e di definizione delle sfumature dei personaggi, sono infatti ampliate come il mondo di gioco: non siamo più solo a Midgar, ma ci muoviamo per tutta Gaia assaporando le differenze tra i diversi luoghi che attraversiamo, tutti credibili e ricchi di dettagli: da Kalm a Junon, a Costa del Sol, ogni agglomerato urbano in cui ci troviamo è un luogo denso di calore, personaggi, attività e sfumature. Nel passaggio dal primo gioco a Rebirth passiamo da una fase all'altra della storia, ma anche da un luogo più circoscritto e definito a un mondo che vive e respira, in cui muoverci liberamente.
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Tecnica al servizio dell'arte
Il tutto è supportato da un livello tecnico in linea con la nuova generazione di console, ma non si tratta mai di potenza fine a se stessa, tanto che lo stacco visivo rispetto al capitolo precedente c'è ma non è dirompente: la PS5 è sfruttata nelle caratteristiche del suo pad così come nella rapidità dei caricamenti, ma anche in una profondità di campo nelle situazioni all'aperto che dà una sensazione di apertura, spazio e vitalità. Si resta senza fiato al cospetto di alcuni scorci che si aprono davanti a noi, arrivando su un'altura o affacciandoci da alcuni luoghi strategici di alcune delle città, aggiungendo respiro e portata drammatica al racconto. Non è una prova muscolare quella messa in piedi da Square Enix nello sfruttare la PS5, ma un'arma al servizio del gioco e la sua ricchezza narrativa.
Spettacolo, epica, emozione: ogni cosa al posto giusto
Quel che colpisce nel portare avanti la storia di Final Fantasy VII: Rebirth, dei suoi personaggi e dell'evoluzione delle dinamiche tra essi, è l'incredibile varietà di situazioni e sensazioni che riescono a trasmettere. Ogni cosa è al suo posto: c'è il grande spettacolo quando è richiesto, sfruttando le potenzialità grafiche della PS5; c'è l'emozione a supporto dei personaggi e dei momenti delle loro storie. Cè, naturalmente e inevitabilmente, l'epica quando la storia prende determinate pieghe che esplodono di potenza evocativa e forza drammaturgica.
Nel giocare a Final Fantasy VII: Rebirth ci si diverte grazie alla leggerezza e (auto)ironia da JRPG, ci si emoziona per il cammino dei personaggi, ci si ritrova a stringere il pad con forza nei momenti di maggior tensione emotiva. Si provano tante sensazioni che siamo abituati a cercare e trovare in giochi diversi tra loro, tutte insieme, con un impatto emotivo che travolge e lascia con la voglia di proseguire questo splendido viaggio.
Conclusioni
È un JRPG di pregevole fattura Final Fantasy VII: Rebirth di cui ci abbiamo parlato nella nostra entusiastica recensione: la portata della storia, dell’evoluzione dei personaggi e delle dinamiche tra loro, l’alternanza di sensazioni diverse che questo splendido cammino riescono a evocare. Tutto ci ha convinti in un secondo capitolo che riprende e amplia quanto di buono fatto con il primo passo di questo ambizioso remake. I puristi ed estimatori di vecchia data potranno storcere il naso per alcuni modifiche al racconto, ma per noi è un rifacimento degno dei tempi in cui viene fatto, come ogni remake dovrebbe essere fatto.
Perché ci piace
- Cloud, Sephiroth e i personaggi in generale, splendidi interpreti di una grande storia.
- La varietà di situazioni e ambienti in cui muoversi, che lascia soddisfatti e appagati a fine corsa, ma con la voglia di proseguire il viaggio.
- Ogni cosa al posto giusto dal punto di vista narrativo così come da quello tecnico.
- La varietà e compiutezza con cui è tratteggiato l’ampio e ricco mondo di gioco.
- Il gioco di carte Regina Rossa.
Cosa non va
- Alcune modifiche alla storia dell’originale che potrebbero far discutere i puristi.
- Inutile dire che se non amate i JRPG potreste avere delle difficoltà a entrare in sintonia col gioco.