Si apre sotto il segno del Sud America questa decima edizione del Future film festival di Bologna, che per la prima volta nella sua storia inserisce, tra le varie sezioni del suo programma, un concorso nel quale trovano posto dieci lungometraggi, tra live action e film d'animazione, che vanno ad aggiungersi ad una nutrita serie di titoli fuori dalla corsa per i premi, alcuni dei quali molto attesi come il fantasy americano The water horse - La leggenda degli abissi, di prossima uscita nelle sale italiane, più la solita ricca selezione di cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Tra i film presentati nel corso della prima giornata si sono subito distinti quelli provenienti dai paesi latino-americani, pellicole visivamente stimolanti e ricche di spunti d'interesse sul piano narrativo. Stupisce però, in generale, la preferenza da parte dei selezionatori di film non particolarmente innovativi, che si avvalgono di un'animazione in più di un caso già superata, e storie che affondano le proprie radici nel passato senza mai risultare coinvolgenti.
E' subito il cinema sudamericano, quindi, a farla da protagonista, ed è una piacevole sorpresa in un festival dedicato all'animazione. Ad inaugurare la manifestazione è stata, infatti, la proiezione gratuita del brasiliano Wood & Stock - Sexo, oregano e rock'n'roll, delirante incubo di due hippy carioca catapultati dagli anni '70 agli inizi del nuovo secolo, incapaci di affrontare il fallimento della propria generazione che ha visto quella sua ingenua illusione di peace & love tramutarsi in cumuli di spazzatura ed apatia. L'erba da fumare per il panciuto Wood ed il suo socio Stock è ora l'origano dei supermercati, acquistato in quantità industriali per uno sballo che li mette fuori gioco. Attorno a loro gli altri sopravvissuti dell'epoca delle fumose illusioni, che muovono il corpo unicamente per fare sesso meccanico e che riprendono ad illuminarsi solo con le sonorità di un rock psichedelico che continua a far loro da bibbia. Tratto dai fumetti di Angeli e diretto da Otto Guerra, Wood & Stock diverte per le situazioni bizzarre che mette in scena, l'esplosione dei colori tipici del movimento hippy, il linguaggio sboccato che si ferma sempre un passo prima della volgarità fastidiosa, offrendo un'animazione scattosa che conquista grazie alla rotondità spassosa del tratto, agli eccessi ed ai continui riferimenti a quelle che nel frattempo sono diventate vere e proprie icone globali, tra Beatles, Shining ed Elton John.
Luci ed ombre, invece, dai due film presentati finora in concorso. Deludente il noir francese Le tueur de Montmartre, storia dal sapore edipico di un pittore senza ispirazione che non riesce a liberarsi del cordone che lo lega alla propria madre e decide di ucciderla, inaugurando così una lunga serie di omicidi che lo porta allo stesso tavolo della Morte, con la quale s'intrattiene in lunghe ed illuminanti chiacchierate sui più grandi crimini e criminali della storia. Alla fine crederà di averla ingannata, sfuggendo così alla sua sorte, prima di capire che di alcune certezze è bene non fidarsi mai. Film raffinato e nichilista, che mette insieme i suoi disegni come fossero dipinti, ma manca di appeal con un'animazione soltanto accennata che appesantisce la visione e tempi morti che non sanno sviluppare le buone idee della sceneggiatura.
Il secondo film in concorso proiettato nel corso della prima giornata rappresenta, d'altra parte, la prima grande sorpresa del Future film festival, e viene ancora da un paese del Sud America. Incantevole nella sua messa in scena, La antena è un live action argentino talmente bello che non sfigurerebbe certo nella selezione ufficiale di festival più blasonati, perché riflette con estrema intelligenza su un tema abusato come il potenziale pericoloso insito nella televisione e nelle sue trasmissioni, agganciandolo ad un discorso più generale sui soprusi di ogni dittatura. Ciò che abbaglia del film è il suo linguaggio, un film "muto per forza", che racconta di una città senza nome che ha perso le voci dei suoi abitanti, costretta a comprendersi, e quindi a comunicare, decifrando il labiale. Esteban Sapir, regista e sceneggiatore della pellicola, si inventa un film fotografato nel bianco e nero delle origini, che deve tutto al cinema espressionista tedesco degli anni '20, in particolare a Murnau, Wiene e al primo Lang, armonizzando il mito di quel cinema col digitale della nostra epoca, un incontro felice che fa dell'opera, immersa in una perenne nevicata che ci imbianca l'animo, una fiaba senza tempo, nella quale le didascalie entrano prepotentemente nella narrazione, dialogando con le immagini che costruiscono un universo sognante, che stimolano e coccolano il nostro immaginario con le sue invenzioni visive e le trovate geniali dello script. Un autentico gioiello.
Ancora un film ispanofono è protagonista in positivo tra i film fuori concorso della prima giornata. E' La crisis carnivora dello spagnolo Pedro Rivero, primo lungometraggio realizzato completamente in flash che ci immerge in una foresta abitata da una comunità di animali che ha scelto di stipulare un patto vegetariano per non continuare ad uccidersi e a mangiarsi tra di loro. A ribellarsi a questa svolta sono i felini che profanano le tombe e mangiano i cadaveri, in attesa di poter ricominciare a sbranare gli animali vivi. Divertente, ma eccessivamente confusionario, con un linguaggio scurrile che prova a conquistare la complicità dello spettatore con tanto di canzone karaoke che glorifica la parolaccia, La crisis carnivora risulta un esperimento riuscito che esprime le buone potenzialità dell'animazione in flash ed offre un piacevole intrattenimento col suo carrozzone di strampalati animali, alcuni dei quali assolutamente irresistibili come la puzzolente iena o l'alligatore perennemente maltrattato.
Deludenti, infine, gli altri due titoli presentati fuori concorso, a partire dall'Highlander di Yoshiaki Kawajiri, sfortunato incontro tra l'animazione giapponese e un'icona del cinema occidentale, il guerriero immortale MacLeod. Visivamente mortificante, con un'animazione che è già anacronistica, Highlander si affida ad una storia basata su un'unica idea ripetuta per oltre 80 minuti: la morte e la relativa rinascita, nel corso di varie epoche, di un uomo determinato a vendicare la propria amata, uccisa e crocefissa duemila anni prima da un tiranno destinato a dominare il mondo per sempre. Soffre degli stessi difetti il cinese Zhang ga, pellicola di formazione che annoia con una storiella anonima di un ragazzino coraggioso che si aggrega ad un'armata dell'esercito del proprio paese per contrastare le milizie imperiali giapponesi durante la guerra sino-giapponese. Zhang ga rappresenta il primo film d'animazione realizzato a Pechino, che combina l'animazione 2D più classica con innesti in computer graphic che stonano e demoliscono il realismo che il film si prefigge di raggiungere con la sua storia ed il tratto povero. Certo è che in un festival dedicato all'animazione ci si aspetterebbe sempre grandi cose dai film asiatici, maestri del genere, ma alla delusione per le pellicole non riuscite subentra l'entusiasmo per la vitalità di un cinema meno conosciuto, come quello sudamericano, che ha saputo finora divertire ed emozionare.