Alla domanda su che rapporto abbia con la giunta di Roma e con il suo Sindaco sbotta: "Ma nessuno!! Se faccio un documentario su Al Jazeera o su Kabul devo avere per forza rapporti con Al-Qaeda?".
Il paragone è sicuramente improprio, ma Marco Bertozzi è esasperato da una polemica che, a suo avviso, nasce e finisce nel nulla.
Tutta colpa del titolo del suo ultimo documentario, Predappio in luce, che ha fatto pensare malignamente a qualcuno che non fosse proprio una coincidenza la presenza di un documentario con questo nome nell'ambito di un Festival del Cinema nella città amministrata dalla neo-eletta giunta Alemanno.
"Si è trattato di un clamoroso caso di critica preventiva - si difende Bertozzi - Solo leggendo il titolo, Alessandra Longo de La Repubblica ha scritto che il mio è un film che legittima un certo tipo di cultura revisionista, ma non l'aveva nemmeno visto!".
Da quel giorno quello che è un piccolo e interessante documentario sulla provincia italiana e la sua capacità di agire sui simboli per reinventarli, è diventato un caso che è piovuto addosso al regista.
"Queste semplificazioni fanno male, sono giocate sui motti. Io nemmeno immaginavo una simile polemica. Il giorno che è uscito l'articolo mi ha chiamato Daniele Vicari, chiedendomi cosa stesse succedendo perchè era stupefatto".
Non se lo sa spiegare tuttora Bertozzi, amareggiato dal sapere che i collettivi di sinistra additano il suo film come campione della politica di Alemanno applicata al Festival del Cinema.
Dal di dietro di una lunghissima pashmina rossa, il regista snocciola il proprio background, tutt'altro che da campione della destra nazionale: "Il mio film precedente è stato prodotto dall'Archivio Audiovisivi del Movimento Operaio, e da Roma Tre, ateneo tutt'altro che orientato a destra, anzi. E ha vinto cinque festival, di cui uno in Cina, non so se mi spiego. Quando la stessa Roma Tre mi ha chiamato a tenere un corso, l'ho impostato tutto sui video delle manifestazioni del G8 di Genova, invitando a parlarne anche i protagonisti!".
E allora? Come mai tutte queste polemiche? "E' partita La Repubblica, e poi altri quotidiani gli sono andati dietro. Ma questo è frutto di una semplificazione che parte da una strumentalizzazione atroce del titolo".
Bertozzi fuga anche ogni dubbio su come la sua pellicola sia arrivata all'interno del Festival: "Insomma, pensare che oggi in Italia si possano fare istant-movie dalla mattina alla sera mi pare ridicolo. Predappio in Luce è un film sul quale lavoro da quattro anni, ed è assolutamente un caso che sia a Roma piuttosto che a Venezia. Al lido l'hanno rifiutato perchè siamo riusciti a presentare solamente una copia-lavoro".
Il regista spiega che il film nasce da strade che hanno sì a che vedere con la politica, ma in un senso del tutto opposto a quello che gli è stato imputato: "I miei committenti sono l'Emilia Romagna Film Commision e il Comune di Predappio. La giunta è dagli anni '50 che è sempre stata prima del PCI, poi di centrosinistra, e lo è tutt'oggi. Predappio in Luce nasce anche e soprattutto per la loro esigenza di sdoganare il paese da quell'immagine di covo di nostalgici estremisti come spesso viene percepita nell'immaginario collettivo".
E all'ennesima domanda sul tema, perde in pazienza e acquista in franchezza: "Scusate_, se dobbiamo dirla tutta il mio film l'ha selezionato Mario Sesti. E al Festival mi sembra sia stato messo da Veltroni, mica da Alemanno_".
Fugato ogni dubbio sulle intenzioni, si rimane con la certezza che la richiesta finale di Bertozzi, "Vorrei che si parlasse anche del film in quanto tale, non solo di questo polverone", per ora, difficilmente sarà esaudita.