Da nerd a guru del cinema indipendente. Un bel cambiamento per Todd Solondz, autore dallo stile originale e personalissimo, venerato dalla critica e assurto ormai quasi al rango di maître à penser della contestazione, nonostante Solondz sia il primo a schernirsi fingendosi molto meno profondo di quanto non sia il suo cinema. Con la timidezza che gli è propria, il regista di cult come Fuga dalla scuola media e Palindromes approda a Venezia accompagnato dalla giovane attrice inglese Shirley Henderson e dal direttore della fotografia Ed Lachman per presentare il suo sequel "ideale" di Happiness, il graffiante Life During Wartime.
A undici anni di distanza da Happiness lei ha deciso di tornare a occuparsi della famiglia Jordan. Quali cambiamenti ha introdotto rispetto al primo film e come si è accostato ancora una volta ai suoi personaggi?
Todd Solondz: E' sempre un mistero per me quando mi metto a scrivere qualcosa. Non so perchè sono ritornato a parlare di quei personaggi. Dire che in tutti questi anni mi abbiano tormentato non sarebbe esatto, ma ho sentito la necessità di tornare a giocare con loro, con la letterarietà di ciò che preesisteva. Sono personaggi allegri e tristi allo stesso tempo, personaggi che mi toccano. Volevo la libertà di cambiare la loro vita. Life During Wartime può essere definito un sequel con variazione e credo che sia un po' più politicizzato rispetto a Happiness.
Nel film ci sono costanti riferimenti all'Ebraismo. Quale è il suo rapporto con Israele?
Todd Solondz: Mi chiedono spesso se mi sento ebreo o americano. Non ho una risposta a domande come questa, ma mi ha sempre colpito l'idea che qualcuno pensasse, anche da ateo, di dover essere sepolto a Israele, pur non essendoci mai stato da vivo. Tra l'altro credo che lì il territorio sia limitato e che abbiano modi migliori per impiegarlo.Il suo è un film cinico, legato a un'angoscia e a una perversione ideologica, non solo limitata alla sfera sessuale, ma all'intera esistenza degli individui. I grandi studios ormai rifiutano film che parlano di drammi o si focalizzano sul sociale. Quanto è difficile per lei realizzare i suoi film che sono estremamente diversi da quelli più gettonati dal pubblico, come horror e commedie disimpegnate?
Todd Solondz: Questo è un momento economico difficile, anche e soprattutto per il cinema indipendente. Se il film precedente ha incassato bene, per un regista indipendente (e non) è più facile continuare a lavorare. L'importante è credere sempre in ciò che si fa e perseverare. Personalmente credo che le mie opere riflettano il mio modo di pensare e di lavorare e non mi pongo particolari problemi sul loro contenuto..
La fotografia di Ed Lachman colpisce per l'eleganza e per l'uso di luce e colori vividi. Sono presenti molti riferimenti visivi al film precedente che rispecchiano una coerenza linguistica e una continuità di fondo. Avevate in mente qualche pittore americano contemporaneo per le immagini del film?
Todd Solondz: Di solito li abbiamo, ma in questo caso abbiamo pensato più ad alcuni fotografi infatti le immagini in molte scene, soprattutto quelle ambientate in esterni, hanno una resa fotorealistica. Ma stavolta l'importanza e la naturale estetica delle location prescelte della Florida è più forte di ogni riferimento artistico.
Nel prefinale del suo film i suoi personaggi pronunciano delle battute che contengono concetti filosofici come libertà, democrazia, perdono. Sono concetti molto densi, fondamentali, inseriti in un momento particolare del film. Può spiegarci il perché di questa scelta?
Todd Solondz: Sono veramente confuso da questa domanda. Io non sono un intellettuale. Voi siete molto più colti di me. La battuta che ho inserito prima della fine l'ho usata perché la sentivo giusta per il personaggio. Non saprei che altro dire.E il tema ricorrente del "Forgive and forget" che richiama il concetto del perdono, centrale nel film?
Todd Solondz: Questo è un film che parla del disordine post-traumatico. Quello del perdono è un filo conduttore dell'opera. I temi che io inserisco nei miei lavori non vogliono sconvolgere lo spettatore o spingerlo a modificare la propria visione, ma il film dà una risposta alla vita, la mia. Ogni mio lungometraggio mostra il mio modo di vivere e di pensare attraverso i miei personaggi. Ecco perché sono così legato a loro.