Minnesota, 2010. Ray Stussy, supervisore di detenuti in libertà vigilata, vuole sposare la sua compagna Nikki Swango, recentemente uscita dal carcere con la condizionale, e chiede un prestito al fratello gemello Emmit, benestante e felicemente sposato. Quando questi rifiuta, Ray si rivolge ad un altro detenuto per rubare in casa del fratello, ma le cose non vanno come previsto. Emmit, dal canto suo, deve fare i conti con i rappresentanti di una misteriosa organizzazione che gli ha concesso un prestito due anni addietro. La poliziotta Gloria Burgle si ritrova invece ad indagare su un omicidio dalle tinte molto personali, che la porterà a scoprire verità inattese sulla propria famiglia...
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Ricominciare da capo
Con la terza stagione Fargo può finalmente mettere in mostra il suo lato antologico a pieno titolo. Se infatti la seconda annata dello show di Noah Hawley era, tecnicamente, una storia isolata con un inizio e una fine ben definiti, essa ha comunque mantenuto un legame abbastanza esplicito con la prima, chiarendone alcuni misteri e mostrandoci certi personaggi tre decenni prima degli eventi che hanno inaugurato la serie. Arrivato al terzo ciclo di episodi, Hawley sembra invece voler andare in una direzione completamente nuova. È possibile che puntate future ci smentiscano, ma per ora - abbiamo visto i primi tre capitoli della stagione - non vi è traccia della famiglia Solverson o delle tre cittadine viste negli anni precedenti (Bemidji, Duluth e la stessa Fargo). È però rimasta intatta quell'atmosfera riconoscibilmente stramba, violenta e surreale tipica non solo del Fargo cinematografico, ma anche dell'universo dei fratelli Coen in generale, un mondo al quale Hawley ha sempre attinto a piene mani, persino in termini di casting (dopo Billy Bob Thornton e Stephen Root nella prima stagione e Bruce Campbell nella seconda, questa volta tocca a Michael Stuhlbarg e Fred Melamed).
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A Serious Prologue
Stuhlbarg e Melamed provengono entrambi da A Serious Man, ed è quel lungometraggio a riecheggiare nella memoria cinefila durante il prologo che apre le danze in The Law of Vacant Places. Siamo nel 1988, a Berlino Est, e un cittadino tedesco viene interrogato in merito alla morte di una donna. Una scena che richiama, a livello puramente narrativo, Le vite degli altri filtrato attraverso la sensibilità dei Coen, ma rimanda anche ad A Serious Man per la sua apparente impenetrabilità, essendo scollegata - per adesso - dalla storyline principale (ambientata ventidue anni dopo negli Stati Uniti) e recitata interamente in una lingua straniera (in questo caso il tedesco). Da lì viene attivato un meccanismo familiare ma al contempo nuovo, poiché soprattutto nel primo episodio Hawley sembra interessarsi più al mood che all'intreccio narrativo, nonostante la presenza affidabile dell'atto di violenza che darà il via all'indagine.
Tale strategia è comprensibile alla luce della fiducia che lo showrunner ha guadagnato da parte sia del pubblico che del network (per il quale gestisce anche Legion): arrivati alla terza annata, e senza l'obbligo di dover porre le basi per un eventuale quarto ciclo, è lecito rimescolare un po' le carte. Una mossa che forse è controproducente con i neofiti (i quali dovrebbero beneficiare maggiormente dalla formula antologica), ma che dovrebbe fare contenti i fan di vecchia data, abituati a un'atmosfera semionirica nella provincia americana e, qualora vedano lo show in lingua originale, a quegli accenti dai contorni scandinavi che creano quasi una cantilena, dai toni rassicuranti anche nelle situazioni peggiori. Situazioni che in questo caso raddoppiano, grazie al duplice ruolo di Ewan McGregor abilmente supportato da Mary Elizabeth Winstead e osteggiato dal viscido David Thewlis (il quale invece rimane britannico).
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Vivere e morire a Hollywood
Nella seconda stagione era stato introdotto un elemento fantascientifico, che ha attraversato sottilmente i dieci episodi, e quel filone crea una sorta di continuità a partire dalla terza puntata, The Law of Non-Contradiction, dove gli extraterrestri diventano protagonisti in chiave deliziosamente pulp, tramite le vicende di un romanziere e del progetto di portare il suo libro sullo schermo. Episodio atipico e al contempo riconoscibile, poiché qui ingrana per davvero la componente mystery, che si scontra con sviluppi alla Barton Fink - È successo a Hollywood (con l'aggiunta della brillante trovata di far interpretare un'attrice d'altri tempi in due epoche diverse da Frances Fisher e dalla di lei figlia Francesca Eastwood). Qui entra in gioco anche l'animazione, elementare ma potente, che dà vita alla prosa del malcapitato autore e accresce la dimensione simbolica dello show in vista dei sette episodi a venire, all'insegna di una nuova storia falsamente vera e veramente falsa.
Movieplayer.it
4.0/5