Un'educazione ottimale, esaustiva e all'avanguardia nella lettura delle immagini è una cosa sempre più necessaria nella realtà moderna. Il mondo accademico ha battuto e batte molto su questo tasto, ribadendo come l'intera area dei media studies sia ormai divenuta un campo di studio vitale per le nuove generazioni, che saranno probabilmente ancora più bombardate di contenuti intelligenti, persuasivi e precisi. Soprattutto dopo l'avvento di internet si è capito come sia una colpa rimanere passivi davanti ad un aspetto della nostra vita che sta diventando sempre più invadente.
Se n'è occupata la critica, ma anche il cinema, il quale, da linguaggio per immagini per eccellenza del mondo moderno, ha, ironia della sorte, spesso colto il lato pericoloso di questo universo sempre più multimediale. Pensate ad uno dei primi documentari che si sono occupati sull'evoluzione dell'immagine (in quel caso prettamente cinematografica), F for Fake di Orson Welles, concentrato quasi interamente a svelare le distorsioni di ciò che viene spacciato come reale. Cosa che caratterizza anche il documentario Fantastic Machine di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck, prodotto da Ruben Östlund e nella versione italiana narrato da Elio Germano, al cinema con Teodora Film.
Partendo dalla prima fotografia, passando per il cinema fino ad arrivare all'epoca della televisione e infine all'avvento di internet, la pellicola mette in scena una cronistoria dell'evoluzione dell'immagine sottolineandone le potenzialità e l'importanza, ma ponendo sotto la lente di ingrandimento sempre la manipolazione messa in atto sullo spettatore attraverso di essa. Un documento interessante e ben confezionato per il suo scopo di "svegliare l'utente", ma che rischia di scadere nella parzialità, ovvero proprio quello da cui vuole mettere in guardia il suo pubblico.
Macchina fantastica o macchina del fantastico
Fantastic Machine ha nel titolo la chiave per capire la sua natura. La capacità dell'uomo di creare immagini della realtà è da sempre legata alla sua capacità di alterarla, una pratica nata ancora prima del cinema e che appartiene all'area d'intrattenimento del linguaggio mediale, gemella di quella didattica. "Fantastic machine" inteso quindi non solo come "macchina fantastica" per le sue qualità, ma anche "macchina del fantastico" per la sua capacità di creare qualcosa di irreale. Dopo tutto la frase che haispirato Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck è proprio "Che fantastica macchina è questa che può mostrare anche ciò che non è avvenuto", pronunciata da Edoardo VII quando vide il filmato della sua incoronazione realizzato da George Méliès, che aggiunse sequenze riprese in un teatro.
In un ping pong continuo con cui raccordare presente e passato, il documentario comincia a ripercorrere la storia della nascita dell'immagine e delle sue forme per il consumo di massa. Si parte dalla dagherrotipia, poi la fotografia e poi il cinema, ma visto nella sua capacità di alterare ciò che invece dovrebbe essere reale, quindi nei casi in cui la sua caratteristica intrinseca di creare illusione sia adoperata per distorcere la verità anche quando non dovrebbe. Entra in scena quindi l'utilizzo del montaggio nei video di propaganda, dando comprensibilmente risalto al metodo di Leni Riefenstahl, antesignana di quella manipolazione sull'immagine che troverà sempre più piede, come nel caso dei filmati dell'ISIS.
Tra una conferma del fondatore della CNN sulla maggior importanza dell'intrattenimento anche nei programma di informazione e i pareri della psichiatria sulla cattiva influenza della spettacolarizzazione della cronaca nera, si arriva alla rivoluzione digitale, a internet e agli influencer. Tutto man mano sempre più dichiaratamente focalizzato sull'evidenziare dove sta l'inganno, perché viene congegnato e da chi e quali possono essere le implicazioni per il futuro.
O muori da eroe...
Il problema principale di Fantastic Machine sta nella maniera con la quale tocca le tante tematiche che necessariamente deve citare per compiere il viaggio che ha in testa. La sua missione è più che encomiabile, così come la volontà di partire dall'origine del linguaggio per immagini, ma il suo scopo morale alla fine lo tradisce. Il suo resoconto si fa sempre infatti più parziale, fino a lasciare da parte definitivamente un punto di vista ampio e oggettivo per concentrarsi su di un'opera di svelamento delle logiche del male piuttosto pilotata. Tutto ciò porta la superficialità e la ipersemplificazione adottate nel suo trattamento a renderlo egli stesso un perfetto esempio di come l'intrattenimento primeggia sull'informazione e di come il montaggio può essere adoperato come strumento di alterazione.
Il momento in cui questo si evidenzia in modo preponderante è dopo l'analisi dell'evoluzione del linguaggio mediale con la rivoluzione digitale e l'arrivo di internet, quando la pellicola abbraccia dichiaratamente un intento di denuncia piuttosto che di saggio. Il documentario, di fatto, non invita più alla riflessione, ma decide di mostrare allo spettatore una soluzione, annullando però la complessità che un discorso del genere invece pretende. Cosa che sanno anche i due autori, specialmente guardando alla prima parte del film.
Alla fine dunque Fantastic Machine diventa ciò che aveva giurato di combattere, ovvero un lavoro che manipola le immagini per intrattenere il pubblico, facendolo sentire intelligente e al sicuro dal momento che promette di consegnargli esattamente il punto di vista giusto per non farsi catturare da un mondo dispersivo. Un mondo in cui circa vengono prodotte circa 50 ore di nuove immagini in movimento ogni minuto e da cui è dunque impossibile tirarsi fuori. Da conservare c'è l'utilità di lavori del genere e la possibilità che questo nello specifico possa invogliare ad approfondire tematiche così centrali per il nostro futuro prossimo.
Conclusioni
Nella recensione di Fantastic Machine, il documentario di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck, prodotto da Ruben Östlund e narrato da Elio Germano, vi abbiamo parlato di un titolo ambizioso e appartenente ad una tipologia di lavori necessari. A tradirlo sono la semplificazione e la superficialità di molti passaggi, anche se la cosa più grave è che esso diviene man mano vittima della stessa manipolazione che cerca di svelare, a causa di una parzialità di prospettiva troppo importante nel bilancio finale.
Perché ci piace
- L'intento è più che nobile.
- Un primo passo per approfondire il tema.
Cosa non va
- La superficialità con cui si affrontano le tematiche.
- La parzialità del punto di vista ne smentisce le premesse.