Appare visibilmente emozionato Marco Bellocchio, nel salire sul palco della Quinzaine des Réalisateurs: è il suo Fai bei sogni ad aprire la sezione collaterale del Festival di Cannes, tra scrosci di applausi che accompagnano il suo arrivo assieme a quello dei suoi attori - in prima fila, Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo. Escluso dal concorso insieme ad altri tre connazionali, Bellocchio ha un palco più intimo da vivere, quello di una piccola sala in cui i titoli di coda del suo lavoro continuano a scorrere anche dopo il suo arrivo. Eppure nonostante questo il suo sentimento appare immutato, la sua emozione genuina nel parlare del suo film. E non potrebbe essere altrimenti, perché il pubblico sembra volerlo accogliere con lo stesso affetto che lui ha dedicato alla pellicola.
Quando gli applausi finiscono iniziano i complimenti verbali, una domanda dopo l'altra: nessuna sembra volersi trattenere da una piccola premessa fatta di emozione e sentiti ringraziamenti verso il regista, a cui viene prima di tutto domandato un commento sullo stato di salute del cinema italiano. La democrazia che viene offerta alle nuove generazioni, che ha a disposizione mezzi e tecnologie a portata di mano per realizzare i propri film, sembra essere l'innovazione più importante per il regista, che guarda alle nuove generazioni con grande positività. "Non chiedetemi di fare i nomi", scherza poi con il pubblico, "Noi artisti tendiamo ad essere molto permalosi, e sono sicuro che dimenticherei di nominare qualcuno che poi si offenderebbe".
"Per me è un film particolarmente sentito, a prescindere dal risultato"
Le pagine di Massimo Gramellini da cui è tratto il film sono diventate in poco tempo un caso editoriale: da un best seller con questa eredità è davvero difficile trarre un film, ma per Bellocchio la questione sembra essere più personale. Si apre lentamente il regista verso il pubblico, ma alla fine arriva a confessarlo grazie al racconto di un semplice dettaglio. "Ricordo quando ero bambino e ci raccontarono in classe dell'incidente avvenuto a Superga alla squadra del Torino. Eravamo solo bambini, ma ci ritrovammo comunque commossi dalla vicenda, piangemmo addirittura. Nel leggere le pagine del libro ho ritrovato la stessa commozione di quel momento". L'incidente di Superga è solo uno dei momenti storici italiani che si intersecano con le vicende del protagonista Massimo. "Ci sono molti elementi che rimandano a quegli anni: Canzonissima, Raffaella Carrà, lo stesso Belfagor che è un film dell'anno esatto in cui muore la madre di Massimo e diventa così importante per lo sviluppo del film". Elementi che si inseriscono non solo nella vita del protagonista ma anche in quella dello stesso Marco Bellocchio, che ne ha fatto quasi involontariamente un film personale, che lui stesso definisce "sentito". Per questo non nasconde un tocco di emozione, che si traduce in un sorriso ad ogni complimento, parola commossa e congratulazione.
Berenice Bejo, Valerio Mastrandrea e il feeling internazionale.
Quando c'è chimica tra due attori, non importa se sono di nazionalità diverse e non parlano la stessa lingua: le emozioni trovano sempre il modo di incontrarsi, e lo fanno anche sul palco della Quinzaine in cui Bérénice Bejo e Valerio Mastrandrea sembrano amici d'infanzia più che colleghi. Scherzano, ridono insieme, si abbracciano e si pizzicano con quel tocco di infantile semplicità che solo una connessione spontanea può raggiungere. "Vedete? Mi considera un attore internazionale", scherza Valerio Mastrandrea quando Bérénice Bejo lo prende in giro per il suo inglese. "Volete sapere quanto è internazionale lei? Una volta durante una scena al mio 'grazie' rispose 'pronto' invece che 'prego'". L'italiano è stato una sfida per l'attrice, lo ammette lei stessa, forse la più difficile da superare insieme all'ansia di avere a che fare con un regista che stima molto. "Il primo giorno tremavo di fronte a Marco, che mi ha chiesto di improvvisare. Ma io non sapevo ancora la lingua, quindi non ero in grado". Entrambi i problemi si sono risolti tuttavia con estrema facilità per Bérénice Bejo: il suo italiano nel film è quasi perfetto, e alla fine il feeling con il suo regista era così tanto da impedirle di volersene andare. Un set armonico, che è riuscito a restituire altrettanta armonia al film presentato a Cannes.