Non c'è tanto l'incomunicabilità al centro di Everyphone Everywhere, il film presentato in anteprima al Far East Film Festival 2023, ma il nostro rapporto quotidiano e sempre più invasivo con la tecnologia e con gli smartphone. Qual è la soluzione? Rimanere accidentalmente 24 ore senza device, questo sembra dirci la commedia. Abbiamo provato a chiederlo al diretto interessato, che abbiamo incontrato al Festival, per sapere come gli sia venuta un'idea del genere e perché abbia deciso di raccontarla al pubblico.
24 ore senza smarphone
Il regista Amos Why è convintissimo dell'utilità dell'incidente che capita al protagonista del suo film: "Non solo penso che sia possibile sopravvivere 24 ore senza smartphone ma anche che possa diventare una sorta di benedizione. Perché poter allontanarsi per un po' dal proprio device e dalla propria vita frenetica può diventare un detox tecnologico. Può risultare certamente scomodo nella vita quotidiana e frenetica che abbiamo tutti ma può diventare anche un'opportunità per fermarsi e respirare un attimo, goderci il momento e ciò che abbiamo al di fuori della tecnologia. Non possiamo sfuggire ai nostri smartphone quindi dimenticarlo a casa può essere forse l'unico modo (ride)". Ma il film, come altri al Far East 2023, parla di incomunicabilità e del dover riconnetterci dopo la pandemia gli uni con gli altri? Secondo il regista in questo caso la faccenda è diversa: "Non direi, perché è tutto ambientato durante una giornata (24 ore) specificatamente nel 2022, quindi durante la pandemia e quindi si sente ancora quel senso di oppressione e ansia nella pellicola, dato che ad esempio le persone portano ancora le mascherine e devono ancora sottostare alle restrizioni di quel periodo".
Everyphone Everywhere, la recensione: 24 ore senza smartphone
Tre storie in una
All'inizio Everyphone Everywhere si presenta come la storia del protagonista che dimentica il telefono a casa, ma in realtà man mano che si prosegue nella visione, assistiamo ad altre storie che mostrano altre sfaccettature del nostro rapporto quotidiano con la tecnologia, che vanno ad incastrarsi con la sua. Un'idea presente fin dall'inizio nello script o che è venuta fuori dopo, durante la produzione, sul set? Amos Why è partito da storie di vita vissuta: "L'idea dello smartphone dimenticato a casa mi è venuta perché mi è davvero successo una volta, quindi si basa sulla mia esperienza personale. Anche le altre storie hanno a che fare con mie esperienze di vita, ed erano tutte pensate fin dall'inizio. Tutte tranne la reunion scolastica tra amici, perché ci serviva qualcosa che potesse fungere da collante e far combaciare tutti i pezzi del puzzle. L'idea fin dal principio era presentare tre storie apparentemente sconnesse tra loro che poi ad un certo punto trovavano dei punti di connessione per il pubblico".
Risate sul set e il rapporto con i social media
Nel film ci sono molte scene divertenti. Anche sul set si devono essere divertiti a girarle, eppure il regista non ricorda un momento spassoso in particolare: "Anche perché visto il periodo di pandemia, dovevamo essere molto fermi e ligi sulla tabella di marcia per non sforare. Inoltre finché non avevamo portato a casa la scena, non risultava divertente ai nostri occhi". Non c'è solo il rapporto con gli smartphone al centro della pellicola ma con tutti i device e con la tecnologia. Come se la cava Amos Why con i social media? "Credo che oggi siamo davvero dipendenti dai nostri smartphone, perché non sono solamente telefoni, ma è come se contenessero tutta la nostra vita quotidiana in un unico posto (ride). E sono strumenti che ci mantengono connessi ad internet 24 ore su 24". A quel punto interviene la produttrice Teresa Kwong: "Però c'è anche da dire che lui fa queste affermazioni ma prima che arrivassimo mi ha chiesto di fare foto e video durante il Festival, poiché lui è sempre online, sempre connesso (ride)". Direi che non c'è altro da aggiungere, vostro onore.