Lo si capisce subito che Gianluca Minucci, all'esordio in un lungometraggio, proviene dal mondo degli spot pubblicitari e dei videoclip. Lo si capisce dal modo in cui muove la macchina, da come concepisce lo spazio e il tempo. Lo si capisce anche dalla voglia, palese, di dimostrare una certa luce e un certo sguardo (mischiando un po' tutto, dal metafisico al cinema da camera, fino all'onirico e lo spionistico). Per questo, Europa Centrale, presentato al Torino Film Festival, risulta una sorta di esercizio filmico in cui, però, si intravede un innegabile talento.
Europa centrale: viaggio al centro dei conflitti
Ora, in Europa centrale, sono tre i veri protagonisti: il treno, su cui è ambientato il racconto (non si scende mai), poi il periodo storico e, infine, la frammentata idea mitteleuropea (arrivando fino alla Francia). Questi tre elementi viaggiano più o meno in parallelo rispetto ai personaggi che popolano il convoglio: spie, ufficiali, femme fatale, fascisti, nazisti e comunisti (troviamo nel cast Paolo Pierbon, Catherine Bertoni De Laet, Tommaso Ragno, Matilde Vigna, Angelica Zakankova).
Siamo nel 1940, quando a bordo del treno viaggia appunto un importante messaggio recapitato dal Comintern (idealisti comunisti ispirati da Lenin). Sono anni strani, è un periodo oscuro e irrequieto, e così, mentre fuori è notte (in tutti i sensi) la missione acquista un senso ben preciso.
Troppa estetica, poca sostanza?
Lo stesso Gianluca Minucci, che ha scritto il film insieme a Patrick Karlsen (ricercatore e storico specializzato sulla storia del comunismo internazionale), definisce Europa Centrale un Kammerspiel, definizione di quel movimento artistico tedesco tipico degli anni Venti. Peculiarità, opere ristrette in spazi chiusi e definiti, poco montaggio, primi piani e recitazione sovraesposta. Dall'altra parte, il film ha anche l'aspirazione di puntare a una stilizzazione contemporanea dell'immagine (appunto, avvicinabile al videoclip). Girato in 4:3, basso contrasto e una palette di colori definiti e messi in contrato dalla fotografia oleosa di Carlo Rinaldi. Insomma, pensando anche alla colonna sonora - lirica, a volte abbondante - di Zbigniew Preisner, Europa centrale è, tecnicamente, notevole.
L'idea di portare lo spettatore al centro del secondo conflitto mondiale, esaltando i paradigmi violenti delle due correnti di pensiero dominanti (rispecchiando poi una divisone sociale e politica che continua, anche oggi, ad ingolfare il pensiero dei popoli occidentali), sfruttando parole, sguardi e silenzi, è affascinante nella sua netta e ovvia brutalità. Ciononostante, lo script risulta sfumato (e di tanto in tanto anche poco lucido) rispetto ad un contesto narrativo che si nutre solo di una forte ambizione scenica. Certo, il film di Minucci porta avanti, più in generale, un cinema ricercato (e di ricerca) che si rifà ad un post-modernismo poco battuto dai nostri autori.
Punto a favore, non c'è dubbio. Il dubbio vero però arriva nel momento in cui Europa Centrale finisce per soffrire - in particolar modo portando in sofferenza una narrazione spesso effimera - subendo una certa pressurizzazione dovuta ai molti, troppi schemi che si addentrano in una storia (comunque) ricca di passione e di inquietanti suggestioni.
Conclusioni
Gianluca Minucci, che viene dai videoclip, dimostra di saperci fare con le immagini. Una buona idea di regia, che, però, sovrasta la narrazione. Sì perché Europa Centrale, tecnicamente ben fatto, spunta i suoi elementi cardine per inserirli in un lungometraggio dai troppi schemi, a volte poco conclusi, che precludono la lucidità della struttura, angusta e costipata in un treno carico di significato.
Perché ci piace
- Un interessante spunto.
- La tecnica.
- L'estetica...
Cosa non va
- ...che sovrasta la narrazione.
- A volte troppo autocompiaciuto.
- Troppi schemi, in poco tempo.