Recensione Eros (2004)

Tre versioni dell'erotismo, tre modi diversi di definirlo e di rappresentarlo. Tutto nella stessa scatola.

Erotismo a tre piazze

Tre versioni dell'erotismo, tre modi diversi di definirlo e di rappresentarlo. Tutto nella stessa scatola. Questa la proposta di Wong Kar-Wai, Steven Soderbergh e Michelangelo Antonioni per "visitare" l'universo eros. Inevitabile, in simili occasioni, stilare una classifica dei tre episodi, anche se magari l'intenzione degli autori era quella di legare in un unico filo conduttore le tre versioni del tema. Ma se questa era l'intenzione, si può certamente dire che non sia riuscita. Anche perché a legare gli episodi resta solamente la comunque bella canzone di Caetano Veloso dal titolo Michelangelo Antonioni, che fa da colonna sonora ai disegni un po' inquietanti di Lorenzo Mattotti.

Lo stacco tra gli episodi invece, anche sul piano della qualità, è notevole, e il film ha il pregio di iniziare da un buon livello ma di chiudersi in modo quasi imbarazzante.
A brillare per eleganza e dolce tocco di camera è soprattutto il primo episodio, quello diretto da Wong Kar-Wai e intitolato La mano, ambientato nella Shangai dei primi anni Trenta. L'episodio racconta le vicende del sarto apprendista Xiao Zhang (Chang Chen), divenuto il "beniamino" di una prostituta d'alto bordo (una conturbante e sensuale Gong Li). Il sarto resterà fedele alla sua padrona anche quando la sua bellezza scemerà, in una vicenda che richiama tutte le atmosfere sognanti e poetiche di Wong, che ha la sola pecca di richiamare un po' troppo gli altri lavori del regista di Hong Kong.

Il secondo episodio, firmato da Steven Soderbergh, si intitola Equilibrium, e quantomeno spiazza e sorprende rispetto a quello che uno si aspetta di vedere su un tema come l'eros. La vicenda racconta di un pubblicitario (Robert Downey Jr.) che si rivolge a uno psicanalista a causa di un sogno erotico ricorrente che lo ossessiona, e dopo il quale non riesce a ricordare l'identità della donna protagonista. Ma durante la sua seduta di analisi, lo psicoanalista (Alan Arkin), a sua volta, è distratto da una donna che vede dalla finestra dello studio. Soderbergh gioca tra colore e bianco e nero, per un episodio originale fin che si vuole, ma che alla fine non si fa particolarmente ricordare e manca di mordente, nonostante la sorpresa finale.

L'episodio peggiore è purtroppo quello di Antonioni, intitolato Il filo pericoloso delle cose e dedicato all'incomunicabilità della coppia. La vicenda è, appunto, quella di una coppia in crisi (Christopher Buchholz e Regina Nemni) che si trova in vacanza. Lui incontra una giovane donna (Luisa Ranieri) con la quale si abbandona a un appassionato e bollente rapporto. Le due donne finiranno poi per incontrarsi su una spiaggia.
Alla storia piuttosto insipida e banalotta, si aggiunge un'interpretazione da parte degli attori non certo memorabile, per un risultato che forse è meglio dimenticare al più presto e nel quale l'indugiare sul nudo femminile sembra essere solamente un goffo tentativo di voler nascondere la povertà di sceneggiatura.