Vent'anni fa Vince faceva parte di una delle boy-band più famose di tutta l'Inghilterra, ma il tempo passa per chiunque e con lui non è stato per nulla clemente. Dopo che il gruppo si è sciolto infatti è finito nel dimenticatoio e, complice una tragedia del passato legata proprio alla sua attività sulle scene, non è mai riuscito a costruirsi una carriera al di fuori della musica. Come vi raccontiamo nella recensione di Ero una popstar, ora Vince fatica ad arrivare a fine mese, è oppresso dai debiti e ha un rapporto contrastato con la madre, che gli rinfaccia ancor oggi un errore di gioventù. Ma sogna ancora di sfondare e spera in un grande ritorno, dilettandosi a comporre canzoni che propone inizialmente per le strade londinesi. Proprio durante uno di questi concerti improvvisati con la pianola viene accompagnato dal giovanissimo Stevie, un ragazzino autistico con un grande talento per le percussioni. Nascerà così un inaspettato sodalizio tra i due, nonostante la netta contrarietà della madre di Stevie e le difficoltà di rientrare nel mondo dello show business dalla porta di servizio.
Dal corto al lungo
Il pluripremiato e omonimo cortometraggio del 2015 aveva attirato le attenzioni di un ampio pubblico anche per via di una storia edificante, capace di far presa su ampie platee. A sette anni di distanza il regista e sceneggiatore Eddie Sternberg ha avuto grazie a Netflix l'opportunità di espandere la sua idea in un lungometraggio con protagonista Ed Skrein, sbarcato in queste ore nel catalogo della piattaforma di streaming. Ero una popstar è il classico racconto di rivincita di uno sconfitto, pronto a risalire la china pur a dispetto di eventi traumatici e situazioni infelici, accompagnato in questa cavalcata di rivalsa da un'anima affine, un ragazzino autistico alla ricerca del proprio posto del mondo.
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La fiera delle banalità
Come era prevedibile date suddette basi, ci troviamo di fronte ad un'operazione fortemente retorica, che nel corso dei cento minuti di visione snocciola un bignami qualunquista di rapporti umani, tutti impostati su un sentimentalismo trito e ritrito. La sceneggiatura segue tutti i canonici step: dall'improvviso ritorno di fiamma per la star decaduta ai preparativi per il grande salto, dalla firma di un importante contratto che potrebbe disfare un'amicizia all'ovvio ravvedimento finale, il tipico immaginario di genere è snocciolato in tutte le sue varianti più comuni Anche dal punto di vista musicale l'operazione si rivela poco credibile, per via di un sound anonimo di poca presa, con canzoni mai effettivamente in grado di far presa sull'ascoltatore, qualsiasi genere musicale questo ascolti. Le presunte hit dei Tin Men, questo il nome della neonata band, risultano fotocopie sbiadite di un campionario pop moderno che ha esponenti ben più convincenti.
Attori che illuminano
Una band da strada che si cattura le simpatie della gente comune, sempre pronta ad esaltare i diversi e gli sconfitti, che qui diventa metafora di una morale facilona, con l'intento educativo che via via perde respiro in una verve melodrammatica raramente sincera. Va detto che Ed Skrein nelle vesti di protagonista brilla di luce propria e riesce a infondere personalità ad un personaggio fin troppo canonico e ingabbiato in schemi abusati. Allo stesso modo da sottolineare l'intensa performance di Leo Long, che soffre di neurodiversità anche nella vita reale e risulta anche per questo particolarmente credibile nel ruolo. Ero una popstar è quindi una commedia intimista che preferisce abbandonare rischi di sorta per lasciarsi andare ad una medietà tanto sicura quanto soporifera, dove i colpi di scena sono pressoché assenti - difficile che anche lo spettatore meno navigato non riesca a intuire le varie svolte narrative - e il lieto fine è già scritto sin dall'epilogo.
Conclusioni
Nella recensione di Ero una popstar vi abbiamo parlato di un film fin troppo scontato e prevedibile, che mette al centro un cuore narrativo edificante nel tentativo di far presa sul grande pubblico, dimenticandosi però un contorno adatto e qualche svolta in grado di far uscire la storia dai soliti binari. E invece il regista e sceneggiatore Eddie Sternberg ha preferito andare sul sicuro, in una fiera dei buoni sentimenti nella gestione del rapporto tra i due, loro ottimi, protagonisti Ed Skrein e Leo Long, al centro dell'ennesima storia di rivalsa e riscatto - sia contro un passato da dimenticare o per un futuro ancora tutto da vivere - della quale non si sentiva la mancanza.
Perché ci piace
- Ottime interpretazioni da parte di Ed Skrein e Leo Long.
Cosa non va
- Un sentimentalismo facile facile.
- La sceneggiatura è sin troppo prevedibile nei suoi eventi chiave.