Encounter, la recensione: l'apocalisse della mente umana

La recensione di Encounter, il nuovo film di Michael Pearce con Riz Ahmed disponibile su Prime Video.

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Encounter: una sequenza del film

"Non c'è bisogno di essere una stanza per sentirsi infestati dai fantasmi, non c'è bisogno di essere una casa. La mente ha corridoi molto più vasti di uno spazio materiale ed è assai più sicuro un incontro a mezzanotte con un fantasma esterno piuttosto che incontrare disarmati il proprio io in un posto desolato". Non c'era forse citazione migliore di questa di Emily Dickinson per iniziare la recensione di Encounter, film di Michael Pearce disponibile sulla piattaforma Prime Video, e destinata a intaccare le profondità più estese dell'epidermide dello spettatore.

Encounter: la trama

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Encounter: un'immagine

Malik Khan è un Marine. Separato dalla moglie, ha due figli che vede molto poco: per compiere le sue missioni vive lontano da loro. Temendo un invasione aliena, Malik rapisce i due bambini da casa della moglie e parte di notte per portarli in salvo: secondo il soldato, esistono creature extraterrestri che, sotto forma di parassiti, si insinuano nei corpi umani e prendono il controllo delle persone. L'unico modo per proteggersi è utilizzare massicciamente lo spray pesticida e recarsi in una base sicura dall'altra parte del paese. Ma qualcosa sembra non tornare. Mentre Malik viaggia tra i paesaggi deserti di un'America messa in pausa, la polizia indaga per ritrovare il rapitore e i due figli, svelando a poco a poco la vera identità dell'uomo.

APOCALISSE MENTALE IN FORMATO INSETTO

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Encounter: una sequenza

Labirintica fucina di corridoi claustrofobici, o di ricordi repressi e traumi destabilizzanti, la mente è un meccanismo a orologeria. Basta una piccola accensione che essa lavora, produce, si apre a slanci creativi e pindarici, ma quando un suo componente salta, la realtà si modifica. Sussiste uno scarto tra vista e raziocinio, fantasia e realtà che porta fuori strada, riduce il mondo a una visione alienata e alienante, a volte della stessa sostanza e forma di un insetto. Il mondo di Malik Kahn non è della forma di uno scarafaggio. Non è una mutazione kafkiana, ma un cambiamento della portata di un Armageddon di cui nessuno pare cosciente; un mutamento alieno, temuto, piccolo quanto un parassita, ma distruttivo come un'apocalisse.

In questa giostra vorticosa tra un'apocalisse che non arriva, e un crollo dei sistemi fragili della mente razionale, Malik non si presenta come un personaggio-funzione, a cui ogni decisione corrisponde un'azione figlia del raziocinio e del ragionamento, quanto uno yo-yo di quell'immaginario personale costruito su una mappa spazio-temporale che i suoi pensieri falsati inventano. Quello affidato e reso vivo nella sua fragilità a Riz Ahmed, è un personaggio dall'io ipertrofico che nel tentativo di livellare e rimarginare le crepe apertesi dentro di sé, finisce per cercare di eliminare le scorie di un'esistenza incompleta, sfasata, di cui non può fare a meno. Da buon marine, l'uomo sente la chiamata dell'eroe. Percepisce il pericolo e tenta il possibile per evitarlo. Ma il vero pericolo forse non è all'esterno, ma rinchiuso tra le cellule di un'interiorità in pieno buffering. Ne consegue un peregrinare livellato di fenomeni di auto-distruzione più che di distruzione altrui. Una fuga filtrata nella sua visione dannosa della realtà, da un sentimento che va al di là delle allucinazioni, e della presa di coscienza delle proprie debolezze: l'amore per i propri figli.

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Ibridare il bello con l'orrido

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Encounter: un momento del film

È un ibrido perfetto, un incrocio armonico in cui le parti divergenti rafforzano quelle della loro controparte quello realizzato tra il mondo della fantascienza che abbraccia il realismo psicologico, in Encounter. La crescente paranoia che accarezza la relazione paterna, sottratta e ora ripresa in punta di piedi, dà vita a un peregrinare tra anima e mente, cuore e fisico; un fisico indebolito, colpito, messo a dura prova dal destino. In tutti i suoi 109 minuti Encounter prende e fa prigioniero il proprio pubblico; non c'è un momento in cui lo spettatore è tentato di volgere il proprio sguardo altrove. Sostenuto da una regia rispondente agli umori che si vivono sul momento, capace di cogliere i momenti più proficui per inseguire, o anticipare i movimenti dei personaggi, Encounter gioca sulla potenza del fuori campo, o sugli insistiti, insostenibili dettagli degli insetti e dei parassiti. Reduplicando la bellezza sublime del suo film di esordio, Beast, il regista britannico Michael Pearce, riprende la sua abilità di mescolare l'angoscioso senso di orrore e la bellezza dei sentimenti e del paesaggio, per indagare a fondo gli effetti di un trauma estesosi nel tempo, intaccando la salute mentale del protagonista. Un interesse che va a discapito di un'ambiguità di narrazione pronta a svelare la propria natura agli occhi più allenati.


FUGA DALLA REALTÀ ALIENATA

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Encounter: una scena del film

Le costanti fughe del più piccolo dei due figli, più che un tentativo di allontanarsi da quel padre così tanto atteso negli anni, e che ora lascia spazio a istanze al limite del minaccioso, è la traduzione istintiva e visiva di uno sfogo interiore, di un urlo rimasto bloccato tra la gola e la bocca. La realtà manipolata dalla forza dell'immaginazione e dal potere dell'allucinazione è uno schiaffo che lascia privi di senso; una messa in pausa della nostra lucidità e della consequenzialità logica della vita, che colpisce in pieno volto, annidandosi tra i bulbi oculari di Malik. Un mutamento suggerito dal regista con fare implicito, questo, anticipato attraverso un impiego della fotografia cara a quella di Janusz Kaminski per Steven Spielberg (La guerra dei mondi) o di Larry Fong per J.J. Abrams (Super 8). Un vortice di flare che tagliano l'inquadratura, donando un senso di alieno, fantascientifico, di irrazionale nell'universo del razionale umano. Il dettaglio degli insetti, memori di Velluto Blu, e un'apertura debitrice al cult di Nicolas Roeg, L'uomo che cadde sulla Terra, sono gallerie citazionistiche che impreziosiscono un piccolo gioiello di strabiliante caratura. Un'Odissea contemporanea compiuta da un uomo vittima della società alienante, che non si fa più Ulisse nel tentativo di ritorno a casa, ma che prende i suoi Telemaco personali, e con loro parte, scappa, come i Tre moschettieri in un viaggio dell'anti-eroe scandito da un ritmo disteso, fatto di inquadrature capaci di alternare primi piani carichi di emozioni, a campi lunghi dal sapore western. E dal Western ritorna i dettagli degli occhi in senso di sfida, tra la realtà oggettiva e quella personale di Malik. Ed è nel momento in cui questa opposizione si concretizza nella lotta contro i figli dell'uomo vessato da Malik perché creduto colpito dai parassiti, che il film conosce un netto calo di tensione. Quell'equilibrio tra la fuga, e la caccia, giocata non su montaggi alternati, ma da un substrato di emozioni stridenti crolla improvvisamente, peer poi ricostruirsi più forte che mai.

Western della mente

E dal genere Western torna anche l'uso espressionista ed emozionale del paesaggio. Il deserto che abbraccia la fuga dei protagonisti vive in parallelo all'inaridirsi del contatto con la realtà di Malik. La natura appare, in opposizione agli eventi, calma, il cielo mai coperto da nuvole, nessun accenno di pioggia a bagnare e lavare le colpe del protagonista. I colori sfumati, in netto contrasto con lo stato d'animo dell'uomo, giocano in alternanza tra il buio dell'ossessione e la luce della razionalità, pitturando un paesaggio di una bellezza imperturbabile, una divinità immortale e indifferente che guarda ad altezza di uomo la loro meschinità umana.

Riz Ahmed, ovvero come modellare l'anima umana

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Encounter: un'immagine del film

Il vero parassita, l'estraneo che entra di prepotenza nel corpo di un altro essere umano, insidiandosi tra le sue superfici epidermiche, infondendogli vita per renderlo così reale, tangibile, è Riz Ahmed. L'attore ancora una volta si dimostra capace di far proprio un personaggio, stabilire con il proprio pubblico un rapporto privilegiato di immedesimazione. Grazie a un minimalismo espressivo, e un'interpretazione giocata in sottrazione, tra uno sguardo basso e un naturalismo attoriale, Ahmed conferma ulteriormente il suo talento invidiabile di condurre I suoi personaggi nella profondità più oscura delle lotte intestine e interiori senza per questo tradurle a un livello più superficiale, in termini di caricatura emotiva. Crediamo in lui, nel suo essere un padre amorevole, nonostante porti I figli nel deserto senza uno spazzolino. Ahmed modella così un uomo complesso, ma fragile e per questo impossibile da condannare. Talmente maestosa la sua performance che è difficile raggiungerlo là, in cima. Ma Octavia Spencer, nonostante il suo ridotto running time, tiene testa al protagonista, rivelando un'empatia tangibile, capace di superare I confini dello schermo e toccare con far delicato il viso e l'anima dello spettatore. Ulteriore plauso va ai piccoli attori, puri, e credibili nei panni dei figli di Malik. 



Guardare il cielo in un'estenuante attesa non è mai stato così sublime, intriso di contrasti e paure. Insetti, brani alla radio, cadute morali e tentativi di ripristinare un passato volato via, come mosche. Encounter è una puntura di zanzara che lascia il segno, si fa sentire, pizzica, e a ogni unghia che tocca la pelle, si ripresenta nella sua forza empatica in un incontro che è abbraccio, terrore, amore.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Encounter sottolineando quanto quello disponibile su Prime Video sia un film imperdibile, un piccolo gioiello che tra fantascienza e psicologia, redige un trattato sul malfunzionamento della mente e l'amore imperituro di un padre per i propri figli.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Gli ambienti.
  • La recitazione di Riz Ahmed.
  • Il gioco tra psicologia e fantascienza.
  • Le citazioni cinefile.
  • La regia.

Cosa non va

  • Accettare che finisca.