Emozioni universali
E' stato il film che, a sorpresa, si è aggiudicato (prima opera giapponese nella storia) la statuetta per il miglior film straniero agli ultimi Academy Awards, prevalendo su concorrenti più gettonati come l'israeliano Valzer con Bashir. E' stato l'evento di maggior richiamo del Far East Film Festival del 2009, che lo ha presentato in anteprima europea. C'era quindi molta curiosità intorno a questo Departures, opera che affronta il tema della morte da un punto di vista insolito: quello di un nokanshi (in giapponese "maestro di deposizione nella bara"), la figura professionale che, in Giappone, è incaricata di preparare il defunto per l'ultimo viaggio, eseguendo un complesso ed elaborato rituale. Così, il film tratta un tema generalmente "rimosso" dal cinema, più sentito in Giappone ma comunque non semplice da affrontare: specie se, come in questo caso, si vuole toccare il tema della morte per parlare soprattutto di vita, di sogni e di riconciliazione con il proprio passato.
Il film è molto giapponese per i motivi di partenza, particolarmente sentiti in un contesto sociale in cui il contrasto tra tradizione e modernità è più che mai presente: il ritorno al paesino natale, la vita di provincia contrapposta alla caoticità della metropoli, l'importanza della riscoperta delle proprie radici. Il tono usato nella narrazione è tuttavia molto classico, immediatamente coinvolgente anche per il pubblico occidentale: nonostante il tema di base, e nonostante un soggetto che ha senso solo all'interno della cultura in cui è nato, il modo usato per raccontarlo è assolutamente universale, e di sicura presa su qualsiasi pubblico. E' probabilmente proprio quest'universalità, e insieme questa facilità di rapportarsi con lo spettatore a prescindere dalla sua appartenenza, ad aver convinto i giurati dell'Academy a tributare al film il prestigioso riconoscimento.
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Movieplayer.it
4.0/5