Elogio alla serie B
Indagini sporche (Dark Blue) è un film senza pretese. Non ha aspirazioni di capolavoro o anche solo di trasmettere un messaggio elevato. E' solo un noir. Ma proprio per questo riesce dove molti altri hanno fallito. Perché questo film funziona alla grande e regala due ore di divertimento al pubblico, senza impegnarlo con messaggi troppo profondi ma anche senza annacquare il cervello degli spettatori. E non è poca cosa oggigiorno. Merito di questo va alla regia di Ron Shelton, che senza far meraviglie riesce ad essere perfettamente al servizio della storia, alla sceneggiatura di David Ayer e al soggettista, il cui peso e la cui influenza si fanno ben sentire, James Ellroy, autore di appassionanti noir, tra cui L.A. Confidential, già portato meravigliosamente sul grande schermo da Curtis Hanson. Anche in questo Indagini sporche gli eroi (e gli antieroi) sono i poliziotti, immersi nella loro vita di arrivismo, razzismo e corruzione, che ci viene mostrata senza nessun filtro in tutto il suo squallore. Se la vicenda in sé per sé non brilla per originalità, molto buono invece è il suo inserimento nella Storia reale. Tutto il film infatti si svolge nella primavera del '92, quando tutta la Los Angeles dei ghetti aspettava con impazienza la sentenza nei confronti dei poliziotti bianchi che avevano picchiato fin quasi alla morte Rodney King, colpevole solo di avere la pelle nera. Tutta l'indagine di Perry (Kurt Russell) e del collega Keough (Scott Speedman) si colloca in questo limbo e la soluzione che stravolgerà la loro vita verrà alla luce proprio all'inizio di quei pochi giorni che sconvolsero Los Angeles, dopo l'assoluzione dei poliziotti.
Da sottolineare anche la recitazione degli attori, primo fra tutti Kurt Russell, in un ruolo sgradevole e detestabile. Ma quello che da un lato è un pregio del film, dall'altro rappresenta anche un suo limite; la caratterizzazione dei vari ruoli infatti mentre è ottima per i personaggi di Perry, di Arthur Holland (Ving Rhames) e di Beth Williamson (Michael Michele), diventa invece stereotipata per Keough e per il villain Jack Van Meter (Brendan Gleeson). Da criticare anche il finale troppo buonista; da una pellicola così particolare ci si poteva aspettare qualcosa di meglio di un banalissimo happy ending. Rimane comunque una buona opera, anomala nel panorama odierno. E che si è meritata ampiamente il premio al Noir in Festival 2002.