Un dramma fitto, interamente costruito sulla figura piegata di una grande Mercedes Morán. Un film, Elena lo sa, colmo di gesti, di rumori, di fatica vissuta sulle spalle piegate di una protagonista che racchiude l'intero film, sorreggendo un certo peso specifico al posto delle emozioni contrastanti di noi spettatori. In ogni smorfia, in ogni movimento, viene segnata la fatica di una donna determinata a rintracciare il tempo che le manca per risolvere il più complesso degli enigmi - sfruttato dal racconto per legare gli eventi. Un'opera, di produzione ispanica, che funziona nella sua feroce emotività, senza però essere mai rimarcata e mai ridondate: più di tutto, Elena lo sa, diretto da Anahí Berneri, è invece un film sulla dignità, sul senso materno, sugli ostacoli enormi che la società pone a chi avrebbe bisogno di assistenza, fisica e psichica.
Dietro un inconscio noir, in cui l'indagine è un mero pretesto narrativo (e pure un gancio per gli spettatori streaming), dettato più dalle necessità che dalla spunto, Elena lo sa è un film di scrittura e di interpretazioni, che Netflix distribuisce seguendo il caso letterario spagnolo da cui è direttamente tratto. Perché se quello di Anahi Berneri è un film di parole, di fatiche e di silenzi, lo si deve all'ottimo materiale di partenza, ossia l'omonimo romanzo scritto da Claudia Piñeiro (edito da Feltrinelli), arrivato in finale del Brooker Prize 2002.
Elena lo sa, la trama: il Parkinson, i rimorsi e i dolori di una madre
Tralasciando il discutibile doppiaggio, il film segue i movimenti di un personaggio dal fortissimo spessore, Elena (Mercedes Morán, appunto), malata di Parkinson. Cammina lentamente, prova ad essere autonoma, mantiene dritto lo sguardo, e soprattutto non si piange addosso. La malattia irreversibile aleggia su tutto il film, e con essa aleggia il concetto di ricordo, che si sfilaccia giorno dopo giorno. Elena "è stata una madre come ha potuto", che "vorrebbe vivere senza il suo corpo". Perché, tra carezze negate e sigarette, Elena si ritrova a cucire la verità dietro la morte di sua figlia, Rita (Erica Rivas), trovata impiccata in Chiesa.
Il caso viene bollato come suicidio, ma Elena è convinta del contrario: Rita non l'avrebbe mai lasciata da sola, non l'avrebbe mai abbandonata. Cosa è successo, quindi? In una Spagna metropolitana indifferente, Elena si aggira tra carte e burocrazia, sorreggendosi appoggiata ad un vecchio ombrello a rose. Mentre la pioggia batte - simbolicamente e visivamente - Elena finisce in un limbo vischioso e complesso, in cui la ricerca della verità si infrange contro un muro di gomma.
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Un dramma umano
Elena lo sa, con l'aggancio dell'indagine, è un film totalmente ideato seguendo le smorfie della protagonista. Dietro la scrittura, di per sé fortissima, e certamente originale, la regia di Anahí Berneri quasi sparisce optando per una naturalezza visiva suggerita da una macchina a mano che segue incessantemente - e discretamente - le spalle curve di Elena. Un approccio cinematografico interessante, che riflette l'umore grigio di un ambiente circostante totalmente staccato e disinteressato (la fotografia livida lo dimostra), poco avvezzo al richiamo disperato di una donna rimasta sola. Tramite i flashback, capiamo che Elena non è stata una madre modello, e di conseguenza il Parkinson è, per lei, vissuto come una sorta di punizione.
La morte di sua figlia, nella narrativa di Gabriela Larralde, che ha adattato il libro di Claudia Piñeiro, è allora una riflessione sulla impreparazione umana agli eventi, e di quanto l'uomo sia impossibilitato a controllare il proprio corpo davanti ad una malattia degenerativa, e straziante sia per chi la subisce sia per chi la combatte di riflesso. Il resto è poi stratificato dietro la stessa indagine di Elena: lo spunto sulla maternità, correlata alle imposizioni religiose, il rapporto con il passato e un tempo che sfugge, correndo veloce. Il ritmo del film forse non è sempre ben strutturato e dosato, piuttosto pare dettato dall'umoralità di un racconto imposto dal dolore di una donna che fatica a girare il collo, guardando però in avanti verso un passato che non può più tornare.
Conclusioni
Un dramma umano, l'incubo di un corpo che non risponde, e il degenerare di una malattia incontrollabile: come scritto nella recensione di Elena lo sa, il film spagnolo segue l'ombra di una madre imperfetta convita che sua figlia suicida sia stata, invece, uccisa. Avanti e indietro nel tempo, tra sbagli ed indizi, per una scrittura ben strutturata con una regia presente e mai invasiva. Strepitosa Mercedes Morán.
Perché ci piace
- La bravura di Mercedes Morán.
- La scrittura, ben strutturata.
- Una regia presente ma non invasiva.
- Il pretesto dell'indagine...
Cosa non va
- ... che potrebbe far storcere il naso a chi cerca erroneamente un thriller.