Nel 1958, in uno dei suoi film più importanti Nazarín, il maestro Luis Buñuel rileggeva la vicenda di Gesù Cristo nello scenario del Messico ridotto in miseria sotto la dittatura di Porfirio Díaz, rielaborando la parabola umana del "figlio di Dio" secondo la sua vena corrosiva e iconoclasta: da qui la storia di Nazarín, un giovane prete il cui impegno nell'applicare i principi evangelici è destinato ad infrangersi puntualmente contro una realtà quanto mai beffarda.
Uno spunto narrativo non troppo dissimile, perlomeno nel suo assunto di partenza, lo ritroviamo ne El Cristo Ciego (The Blind Christ il titolo internazionale), secondo lungometraggio di finzione del regista cileno trentunenne Christopher Murray dopo l'esordio del 2010, Manuel de Ribera: uno degli outsider inseriti in concorso, accanto a nomi ben più noti, alla 73° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, che un anno fa aveva assistito ad un'autentica 'riscossa' del cinema del Sud America.
Cristo si è fermato in Cile
Se dunque il Nazarín buñueliano ricalcava le orme di Cristo in virtù della propria vocazione religiosa, ne El Cristo Ciego il protagonista di un'analoga imitatio Christi, consumata con un senso di immedesimazione perfino maggiore, è Michael (Michael Silva): un ragazzo che fin da bambino, in seguito a un'esperienza mistica nel deserto del Cile settentrionale, si è convinto di possedere una connessione speciale con Dio. Un giorno Michael, che da adulto porta ancora sulle mani i segni di una 'crocifissione' compiuta su se stesso in età infantile, riceve una notizia drammatica. Il suo amico più caro, che ora risiede in un altro villaggio a notevole distanza, ha riportato gravissimi danni a una gamba in seguito a un incidente. Quantomai sicuro della propria condizione di 'eletto' del Signore, Michael decide così di intraprendere, a piedi nudi, un lungo viaggio attraverso il deserto, alla volta del villaggio del proprio amico, allo scopo di rendere possibile il compimento del miracolo della sua guarigione.
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Un pellegrinaggio raccontato da Murray in poco più di ottanta minuti di durata, attraverso una messa in scena minimalista che si distingue per la sua compostezza quasi geometrica: inquadrature fisse, pochissimi movimenti di macchina ed uno stile ieratico, funzionale a trasmettere la solennità del percorso esperienziale di Michael. Una solennità che potrebbe essere definita piuttosto come una sacralità, intesa però in senso pasoliniano. E cioè una sacralità umanissima, terrena, sempre attaccata alla materia e ai corpi, adoperata per indagare inquietudini e sofferenze dei personaggi. La cornice di El Cristo Ciego, del resto, è un Cile dipinto nei suoi tratti di maggiore povertà ed arretratezza, con un primo piano sul dolore che però non sfocia mai nel compiacimento gratuito. Eppure, questo scenario cileno potrebbe essere un qualunque luogo di una qualunque epoca, a indicare l'universalità di un film che non rimane ancorato ad una specifica realtà sociale.
Il silenzio di Dio
Il viaggio di Michael, e dell'adolescente che l'accompagna, sarà scandito dunque da incontri con la miseria quotidiana, dall'enunciazione di parabole, ma soprattutto da momenti di conforto reciproco e di solidarietà. Quella solidarietà che il film sembra voler celebrare come valore primario e irrinunciabile della natura umana, a prescindere dal presunto 'fallimento' di Michael: una figura messianica, a suo modo, destinata però a scontrarsi con l'ineluttabilità di quello che, nel cinema di Ingmar Bergman, era definito "il silenzio di Dio". E gli echi della poetica bergmaniana sono evidenti nella parte conclusiva del film di Christopher Murray: nella sensazione di smarrimento di Michael, costretto a prendere atto dell'illusorietà della propria missione (e magari della propria 'cecità', quella cecità metaforica a cui allude il titolo).
Cos'è la fede, d'altronde, se non la nostra risposta alla necessità di "riempire il vuoto" lasciato dall'assenza di Dio, come espresso nel dialogo finale fra Michael e il sacerdote? E se la sua imitatio Christi si rivelerà fallace ed ingannevole, tuttavia il viaggio del ragazzo non sarà stato vano. Temi altissimi e ambizioni a dir poco notevoli, quelli al cuore di una pellicola come El Cristo Ciego: a volte fin troppo, per un film che fatica a raggiungere le vette di profondità dei modelli a cui si ispira. Eppure, non si possono non ammirare il coraggio dell'impresa e il rigore dell'esecuzione, così come la coerenza interna di un'opera a cui senz'altro non mancano gli spunti e le suggestioni.
Movieplayer.it
3.0/5