La narrazione della crisi economica del nord est italiano oltre le pagine della cronaca locale, indagata nella dimensione umana e tragica del singolo, vittima del catastrofico effetto domino innescato. È così che ce la racconta Alessandro Rossetto nel suo Effetto domino, presentato nella sezione Sconfini dellla 76° edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia. Il regista, che in molti ricorderanno per Piccola patria o Rumore bianco, allarga infatti la prospettiva dal locale al globale e guarda da vicino una vicenda dai tratti universali basandosi sull'omonimo romanzo di Romolo Bulgaro.
Tutto inizia quando in una cittadina termale del nord est il geometra Rampazzi (Diego Ribon) e il suo sodale avviano un progetto di riconversione di grandi alberghi abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi. Non luoghi di morte, ma paradisi patinati in cui godersi l'ultimo miglio di vita e su cui costruire una nuova immagine di città. Un business destinato infrangersi contro l'improvviso ritiro dei capitali messi a disposizione dalle banche, che scatenerà un effetto domino nelle vite di tutti i personaggi coinvolti.
Ne viene fuori un film corale con un cast di attori che va da Diego Ribon a Mirko Artuso, Maria Roveran, Lucia Mascino e Marco Paolini.
Dal romanzo al grande schermo
L'idea dieci anni fa era stata quella di farne un documentario: "Avevo seguito le reali vicende di un effetto domino, si trattava di tre famiglie", ci spiega Rossetto. Poi è arrivato il libro di Bulgaro, che "mi offriva una strutturazione della vicenda molto interessante; ho seguito quindi la divisione in capitoli proposta dal romanzo".
Diverse invece le libertà che il regista si è concesso in fase di scrittura insieme a Caterina Serra, come quella di trasformare Guarnieri in un personaggio femminile, interpretato da Lucia Mascino, e consolidare figure che nel romanzo sono appena accennate: "Le figlie di Rampazzo non esistevano, mentre nel film sono decisive, portano avanti due linee drammaturgiche importanti. Questo ha richiesto un impegno notevole dal punto vista della scrittura, bisognava cesellarle perché fossero vicine alla linea proposta dal romanzo, in larga parte seguita".
Effetto domino, la recensione: l'Italia dei sogni da demolire
Diverso il caso di Guarnieri: "È un tassello del racconto e ha un arco facilissimo: nella prima scena è una donna spietata, una carnefice, nella seconda è in crisi, nella terza è già stata eliminata. La sfida era raccontare questo arco narrativo in sole tre scene, per cui ci siamo fatti una serie di domande e potevamo scegliere due strade: essere taglienti e spietati o dare anche un aspetto di partecipazione. - ci dice l'attrice - Alla fine non c'è stata una decisione su come farlo, perché da un lato ci sono le intenzioni che ti racconti con il regista, dall'altro c'è una parte più istintiva che viene da dentro, volente o nolente porti sempre qualcosa di tuo".
La crisi del nord est tra realismo tragico e astrazione
In Effetto Domino la vicenda narrata trascende i confini della provincia italiana piegata dalla crisi per assumere le sembianze di una riflessione universale sul denaro, il potere e sul recupero di un valore del tempo che non sia solo occupazionale: "Qui le rovine sono importanti. Gli alberghi destinati al recupero di cui si fanno promotori i due protagonisti, sono delle entità, la testimonianza di ciò che è accaduto, le vestigia di un passato. - continua il regista - Questo solleva il film dal locale immediato: si parla dell'homo deus, dell'infinity life, del superamento dell'homo sapiens, il sottotitolo è 'la morte ha le ore contate'".
Tutti elementi che lo rendono un'opera stratificata e che lavora per contrasti: "Per nutrire il dramma erano necessari elementi materiali e slabbrati nella prima parte, che si cristallizzassero nella seconda. Il mondo algido della new old che sottende alla ricerca dell'immortalità non poteva che essere iper pulito rispetto a ciò che si vede nella prima parte del film legata molto al lavoro edile".
Il nord est diventa luogo simbolo di una tragedia umana che si ripete ovunque con le stesse regole: "Filmare in questi luoghi è molto ispirante, un mio amico dice che siamo più matti che altrove, c'è un'atmosfera balcanica, ci sono punti estremi che si toccano, coabitazioni particolari, dinamiche politiche sorprendenti", precisa Rossetto.
Storia di uomini che non cadono mai
A pensarla così è anche Diego Ribon: "Mi piace parlare di nord est riferendomi al dialetto, che è lingua delle origini, della terra. Penso a questo film come a un insieme di temi universali: c'è la tragedia umana, la disperazione, famiglie che muoiono, l'imprenditore che si suicida, c'è il tradimento e la fine di un'amicizia".
Il suo personaggio, Rampazzi, appartiene a quella schiera di "uomini corazzati che non cadono mai", come sostiene lo scrittore del libro, sopravvivono bene anche quando cadono rovinosamente, "il loro più grande errore è pensare che gli altri siano corazzati come loro". Per interpretarlo Ribon si è affidato all'azione, niente psicologia: "Preferisco occuparmi del presente: se sto bevendo un bicchiere d'acqua mi piace pensare a quello che sto facendo, non mi interessa chiedermi perché. Rappresento nella misura in cui faccio qualcosa, l'epoca della psicologia bergmaniana è superata, e fare Rampazzo è tutto questo".