Qualcun altro ha già azzardato il paragone, che possiamo prendere in prestito per sintetizzare cosa sia il quarto lungometraggio firmato da Ari Aster. Eddington, per tono e personaggi, effettivamente assomiglia ad una lunga puntata de I Simpson. Puntare ad un genere - il western -, stravolgerlo e poi riscrivere cosa voglia dire "realtà". Partire da un punto, per arrivare direttamente al suo opposto. In mezzo, il mondo contemporaneo con le sue leggi, i suoi rumori e i suoi abomini.

E che strano pensare che la bozza del soggetto sia stata scritta da Aster cinque anni prima di Hereditary, aggiornandone poi il testo e il contesto per fotografare l'istantanea di un'America divisa e schizofrenica, immortalata in un formato widescreen dai colori densi e netti (alla fotografia l'iraniano Darius Khondji, alla prima collaborazione con Aster).
Ari Aster: Joaquin Phoenix vs Pedro Pascal
Complicato estrapolare la trama di Eddington senza considerare la gigantesca mole di elementi inseriti nella sceneggiatura, e già in qualche modo introdotti da Ari Aster nel folgorante incipit di Beau ha paura. Comun denominatore, il talento di Joaquin Phoenix e l'isteria degli Stati Uniti. Ancora più isterici se pensiamo che il film si svolga nel maggio del 2020, in piena pandemia da Covid-19.
Le mascherine, il distanziamento, il dottor. Fauci che parla in tv, le teorie del complotto che generano rabbia e frustrazione. Al centro del film c'è proprio Eddington, piccola città immaginaria del New Mexico infuocata dallo scontro tra lo sceriffo locale Joe (Phoenix), deciso a candidarsi sindaco, e il sindaco uscente Garcia (Pedro Pascal), intenzionato ad essere ri-eletto. Uno scontro che travalica l'assurdo, portando i cittadini a schierarsi gli uni contro gli altri.
Eddington: le crepe della democrazia

Eddington parte da un assunto, che Aster sottolinea nel tono fluido, ma tratti illeggibile: viviamo in un mondo spaventoso e catastrofico, al contempo è talmente estremo e insensato da risultare ridicolo, tanto che appare "impossibile da prendere sul serio". Un cortocircuito sociale e politico, nonché culturale. Per il regista, il cosmo di Eddington diventa lo specchio degli Stati Uniti d'America, ormai dominati dalla tecnologia, dalla finanza e dalle fake news.
E no, non c'entra (solo) Trump o il movimento MAGA. Qui abbiamo a che fare con le crepe sempre più visibili della democrazia, minacciata dall'uso e consumo dei social, colpevoli di aver generato una fitta nebbia sociale. L'autore, per sua ammissione, vuole che "il pubblico riconosca nel film la realtà in cui viviamo, senza aver demonizzato o esaltato nessuno". Nel farlo, però, Aster sceglie la via più intricata di tutte, inzuppando la sceneggiatura di tante e, forse, troppe cose. Insomma, solita arguzia, tuttavia meno lucida.
Una società votata all'isolamento

Nel misurare la temperatura del paese, il film si concentra nell'inseguire la cacofonia, il contrasto, facendo dell'assurdo il metro narrativo da cui poi sviluppare una storia satirica e acuta, in cui lo scontro, come in ogni western che si rispetti, diventa il tramite per generare una nuova epoca. Le armi, però, diventano adesso gli smartphone capaci di azzerare personalità e individualità, dando vita ad un ecosistema che si regge interamente sul conflitto. Il materiale cinematografico dunque non manca, considerando poi il cast all-star che ruota attorno al duello tra Joaquin Phoenix e Pedro Pascal. Solo per citarne alcuni: Emma Stone, Austin Butler, Luke Grimes. Insomma, mica male. Peccato che il dosaggio non sia ben bilanciato. Pedine di un puzzle assurdo e selvaggio (ecco il Far West), che segue l'universalità di un evento globale come il Covid, capace di spaccare irrimediabilmente una società sempre più votata all'isolamento e al congelamento emotivo.
Un film pieno di "cose"

Dietro Eddington, allora, un moto instabile e pericoloso (l'omicidio di George Floyd, il movimento Black Lives Matter, le elezioni presidenziali del 2020), riletto da Ari Aster secondo una narrazione tuttavia inaspettatamente asettica, quasi scostante, portata avanti non senza fatica nelle due ore e mezza di durata. Un minutaggio certo eccessivo - il montaggio oggi ragiona per eccesso più che per difetto - e pure incerto su quale "stranezza" prediligere, ma anche coraggioso nel contemplare l'epoca che di fatto sta uccidendo la ragione. La fine dell'umanesimo, insomma. Un'epoca schizzata, così veloce che anche il cinema stesso, da sempre premonitore, sembra faticare a leggere con la giusta aderenza. Come racconta Eddington, un cinema impreparato ad un cambiamento che, secondo Ari Aster, assomiglia ad una sorta di "compimento".
Conclusioni
Ari Aster sfrutta il western per affrontare con coraggio un mondo spaccato, velenoso e pericoloso. I social, la politica, le divisioni, la democrazia sbilenca e azzoppata dagli slogan e dai reel. Eddington, che ha per sfondo il 2020 e la pandemia, è la fotografia di un mondo consumato, e rivisto da Aster secondo una logica cinematografica che punta all'eccesso. Tuttavia, sembra meno lucida rispetto ai precedenti lavori.
Perché ci piace
- I personaggi funzionano.
- Funziona la location.
- E funziona lo spunto politico.
Cosa non va
- La durata è eccessiva.
- Solita arguzia di Aster, ma meno lucida.