L'amatissima serie di Dragon Age, che ha fatto il suo esordio nel 2009 con l'omonimo videogioco targato BioWare - un'autentica istituzione in fatto di giochi di ruolo, basti pensare a Baldur's Gate e Mass Effect - da qualche tempo è sparita dalla scena: lo sviluppatore canadese aveva imbastito un universo multimediale, fatto di videogiochi e romanzi e fumetti, che nel corso degli anni ha maturato sempre più fan, ora in trepidante attesa di un nuovo titolo, Dragon Age: Dreadwolf, annunciato ma ancora avvolto nel mistero. Nel tempo, l'universo di Dragon Age ha sconfinato anche in TV, nel 2009 col film in computer grafica Dragon Age: Dawn of the Seeker e nel 2011 con la serie web Dragon Age: Redemption, scritta e interpretata da Felicia Day.
In questo senso, l'uscita di Dragon Age: Absolution, di cui vi parliamo in questa recensione, è stata una piacevole sorpresa per chi aspetta di tornare nel Thedas da quasi dieci anni, perché tanto è passato dall'ultimo gioco della serie, Dragon Age: Inquisition. Gioco che peraltro rappresenta un solido riferimento per la miniserie animata creata da Mairghread Scott e proposta su Netflix in sei episodi. Prodotta da BioWare e Red Dog Culture House - autori, sempre per restare in tema videoludico, del cortometraggio su Doomfist per Overwatch e del film a cartoni animati The Witcher: Nightmare of the Wolf - Dragon Age: Absolution è una miniserie fedele ai videogiochi, forse anche troppo.
I pro e i contro del fanservice
La storia si svolge nell'arco di tempo che intercorre tra Dragon Age: Inquisition e Dragon Age: Dreadwolf, perciò non mancano diversi rimandi all'ultimo gioco della serie e all'universo creato da BioWare. Rimandi che confonderanno non poco chi si avvicina ad Absolution senza sapere assolutamente nulla di Dragon Age. A differenza di produzioni come Arcane o Castlevania, Dragon Age: Absolution sembra dare per scontato che lo spettatore conosca - e anche bene - la serie videoludica di riferimento. È una caratteristica della miniserie che, da una parte, rispetta il fan senza perdere tempo in didascalici spiegoni, ma dall'altra limita enormemente il proprio pubblico. Nonostante questo, la premessa è alla portata di tutti: l'Elfa Miriam viene assoldata dalla sua amante umana Hira per unirsi a una banda di mercenari e rubare un manufatto custodito dai maghi nell'impero di Tevinter.
Per chi mastica Dragon Age, questa premessa già suggerisce una serie di interessanti riflessioni. Tevinter dovrebbe essere la principale ambientazione del prossimo gioco nella serie, un impero in cui i maghi detengono il potere, esercitano la magia del sangue e tollerano la schiavitù, specie nei confronti degli Elfi come Miriam. E infatti Absolution è una miniserie incentrata soprattutto sui rapporti interpersonali, che poi sono il marchio di fabbrica dei videogiochi BioWare, in cui spesso la narrativa si intreccia con le relazioni che il giocatore può costruire scegliendo le risposte che preferisce nei dialoghi. Absolution non è una miniserie interattiva, ovviamente, ma calca la mano sulle caratterizzazioni grazie anche all'ottimo doppiaggio - in italiano, ma soprattutto in inglese - e alle animazioni curatissime ed espressive.
Nell'arco di soli sei episodi da 30 minuti circa ciascuno, Absolution riesce a gestire un mix di azione, fantasy, ironia e dramma, tra flashback e momenti introspettivi, ammiccando senza troppe cerimonie al tema dell'inclusività. Purtroppo non tutti i personaggi riescono ad avere lo spazio che meriterebbero: la maga Qwydion, per esempio, finisce per essere una simpatica macchietta e poco più, e non ci sarebbe dispiaciuto se la sceneggiatura avesse esplorato meglio le dinamiche tra l'antagonista, Rezaren, e il suo braccio destro, la comandante Tassia. Il fatto è che, in poco meno di tre ore, Dragon Age: Absolution intreccia più sottotrame di quel che lasciano intendere i primi minuti, sferrando diversi colpi di scena davvero inaspettati che rimescolano le carte di continuo.
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Una miniserie che sembra un DLC
Quelli di BioWare sono stati furbi a commissionare una storia che resta confinata in uno spazio circoscritto, evitando che i protagonisti debbano confrontarsi con un immaginario più vasto. Per certi versi, Absolution sembra quello che nei videogiochi si definisce Downloadable Content, DLC per gli amici: un contenuto aggiuntivo, una sottotrama che prende qualcosa dal gioco originale e lo sviluppa a modo suo. Nella miniserie di Red Dog Culture House appaiono brevemente anche un paio di personaggi storici - Cassandra Pentaghast ed Evariste "Fairbanks" Lemarque - che per gli spettatori a digiuno di Dragon Age significheranno poco: fortunatamente, il cast non ha bisogno di loro per restare impresso, e per come finisce la miniserie verrebbe voglia di vederla proseguire... o di rivedere i personaggi nel prossimo gioco di BioWare.
Nonostante possa apparire come una specie di omaggio ai fan, giusto per intrattenerli in attesa che i videogiochi proseguano, Dragon Age: Absolution è una produzione curata soprattutto sotto il profilo delle animazioni tradizionali, che danno il meglio di loro nelle scene d'azione, peraltro molto ben girate, mai banali e rispettose dei giochi di riferimento. In alcuni episodi l'animazione claudica un pelo, forse per motivi di budget, ma nei momenti culminanti dà il meglio di sé, mentre la colonna sonora, purtroppo, si dimentica quasi subito. È veramente un peccato che la narrativa corra per rispettare la breve durata della miniserie: con questi valori produttivi e maggior tempo a disposizione, Absolution avrebbe potuto essere una miniserie memorabile a tutto tondo, e invece resta un prodotto pensato per i fan e loro soltanto.
Conclusioni
Chiudendo questa recensione di Dragon Age: Absolution, ci siamo chiesti se la miniserie su Netflix ci sia piaciuta: la risposta è sì, ma con riserva, e forse perché siamo grandi fan del videogioco BioWare, quindi tornare nel Thedas, dopo tanti anni, è stato bello, anche se solo per poche ore. Ma Absolution è una serie che gestisce troppi personaggi in troppo poco tempo e non trova spazio per spiegare allo spettatore un immaginario già complicato di per sé, finendo per alienarlo con uno spettacolo animato curato, sì, ma alla fine dimenticabile.
Perché ci piace
- Le animazioni di ottima qualità, salvo rare eccezioni.
- I colpi di scena che rimescolano le carte più volte.
- La fedeltà alle tematiche del videogioco di BioWare.
Cosa non va
- Il cast meritava più tempo dei sei brevi episodi che compongono la miniserie.
- La colonna sonora non resta impressa.
- Chi non conosce Dragon Age faticherà a capire certi dialoghi.