Dove finisce il mare
Le donne di Tel Aviv, così fragili e sole, che provano a muoversi in continuazione, ma finiscono col ritrovarsi sempre immobili, nello stesso punto fisso, incapaci di prendere in mano le redini della propria vita. Etgar Keret e Shira Geffen, coppia (marito e moglie) di scrittori israeliani, passano per la prima volta dietro la macchina da presa per descrivere queste figure femminili intrappolate in una città quasi irreale. In Meduse non ritroviamo infatti l'Israele che siamo abituati a vedere sullo schermo, quella ferita dall'eterno conflitto coi vicini palestinesi, ma un paese silenzioso, teatro spoglio dove si muovono corpi che non riescono a comunicare e devono accontentarsi perciò di sopportarsi reciprocamente. Keret e Geffen nel loro debutto al cinema non ricercano il realismo, ma privilegiano luoghi astratti per ricondurre l'attenzione sulle protagoniste, donne costrette nelle prigioni delle proprie solitudini. Come Keren, novella sposa che per una gamba rotta deve rinunciare al viaggio di nozze ai Caraibi e si ritrova confinata in una stanza d'albergo col proprio marito; Batya, che disorientata da una vita nella quale non sa riconoscersi s'imbatte in una bambina comparsa misteriosamente tra le onde del mare, che non vuole separarsi dal suo salvagente; e Joy, domestica filippina a Tel Aviv per lavoro, ma col cuore ancora al proprio paese, lì dove suo figlio l'aspetta insieme al sogno della barca-giocattolo che spera di ricevere in dono al ritorno della madre.
Keret e Geffen parlano di solitudine ed incomunicabilità, temi universali che scelgono di affrontare con un tono tragicomico, tenero e lieve, immergendo le proprie protagoniste in un universo quasi irreale, che si sgancia dai problemi più grandi di un paese divorato dall'incubo del terrorismo che non può permettersi di abbassare la guardia. Il centro della storia per una volta sono le vicende minime e private di donne in difficoltà, che hanno bisogno di altre persone per ritrovare un contatto più intimo e sincero con chi sta loro accanto.
Il film si concede spesso parentesi surrealiste in cui l'imprevedibilità della vita arriva a sconvolgere l'esistenza dei protagonisti, riaccende luci spente sul passato e provvede a ricolorare le sensazioni sbiadite. Per far questo i due registi svalutano la centralità della parola, pane quotidiano di ogni scrittore, per lasciare spazio alle immagini, pudiche eppure potenti, bagnate da quel mare che diventa per gli uomini (in questo caso per le donne) teatro ideale per ritrovare sé stessi, per riscoprire i propri sentimenti e per confrontarsi con l'altro. Non saranno certo due Pasolini, ma Meduse rappresenta senza dubbio un buon debutto cinematografico, tanto che si è visto assegnare la Camera d'or, prestigioso riconoscimento attribuito al miglior film di un esordiente, alla scorsa edizione del festival di Cannes. Il film arriva in Italia con la benedizione di Nanni Moretti che lo distribuisce con la sua Sacher.