La memoria di un paese, le bombe, il sangue, le stragi, il nostro passato, la Storia di una guerra civile. Cosa rimane oggi di quei lunghissimi, inerminabili giorni che le cronache consegnarono ai libri di storia con l'epiteto di Anni di Piombo? Nel corso degli anni il cinema italiano ha provato a sviscerare, analizzare, raccontare ed esorcizzare e adesso Annarita Zambrano prova a fotografare l'ingombrante lascito di quelle oscure pagine con Dopo la guerra", abbandonando la tradizionale linea del racconto cronachistico che ha caratterizzato gran parte (fatte le dovute eccezioni) di quella narrazione. Il film presentato al 70esimo Festival di Cannes in Un Certain Regard riapre vecchie ferite e rispolvera interrogativi che processi e fiumi di inchiostro non basteranno mai a sopire. In particolare riaccende i riflettori su antiche e spinose questioni come quella posta per anni dalla dottrina Mitterand, che dal 1985 al 2002 permise a ex terroristi di trovare asilo in Francia. Le vicende del film iniziano proprio nel 2002 a Bologna nel pieno delle proteste studentesche contro la riforma sul lavoro.
L'omicidio di un famoso giusvalorista (non vengono fatti nomi, ma è evidente il riferimento a Marco Biagi) riapre una nuova stagione del terrore; Marco, ex militante di sinistra interpretato da Giuseppe Battiston, condannato per omicidio e rifugiato da venti anni in Francia dove nel frattempo si è ricostruito una vita, è sospettato di avere collegamenti con l'attentato. L'Italia ne chiede l'estradizione, la Francia di Chirac acconsente mettendo fine alla dottrina Mitterand ed è in quel momento che Marco inizia a preparare la fuga in Nicaragua costringendo la figlia adolescente Viola (Charlotte Cétaire) a seguirlo. In Italia si torna a parlare di lui e a pagarne le conseguenze sarà ancora una volta la sua famiglia rimasta a Bologna e con la quale non ha più rapporti: una madre muta e indurita dal dolore di chi ha perso due figli (il fratello di Marco è morto ammazzato durante uno scontro con la polizia in quegli anni di lotta armata), una sorella insegnante (Barbora Bobulova) costretta a lasciare scuola per un periodo e il cognato magistrato che dovrà rinunciare alla carica di procuratore capo.
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Le colpe dei padri
È la colpa dei padri uno dei nodi cruciali del film, delle pene che intere generazioni di figli si ritroveranno a dover scontare in ogni epoca. Qui ricadranno su una famiglia spezzata in due come dice la regista stessa, classe '72, che quegli anni li ha vissuti solo di riflesso durante l'adolescenza, perché quando le bombe facevano saltare in aria le nostre piazze lei era poco più che una bambina: "La verità è che gli attentati facevano parte della nostra vita, anche se non avevamo l'età per capire precisamente cosa stava succedendo. Poi, negli anni successivi, quando abbiamo capito, era troppo tardi. Tutto era stato già deciso, già combattuto, già sbagliato, già perso. Ho sempre pensato che la conseguenza di quegli anni bui hanno generato in Italia un completo rifiuto dell'impegno politico. A noi restava la cenere, o l'eroina che aveva invaso l'Italia dei primi anni 80", racconta. Dopo la guerra è concepito come un film corale, la struttura è quella della tragedia classica, le atmosfere sono quelle rarefatte di un certo cinema italiano e il racconto è nettamente diviso in due parti che corrono parallele: da un lato la fuga nella campagna francese, il complicato rapporto padre-figlia e un ritratto dell'uomo Marco e dell' 'ex combattente' che prende via via corpo, prima attraverso i ritagli di giornale, le copertine che ne riesumano l'immagine consegnata alla Storia, poi con l'intervista che decide di rilasciare a una giornalista; dall'altra una Bologna dagli interni claustrofobici e il calvario di una famiglia borghese che deve fare i conti con la prepotenza della Memoria e un inevitabile senso di colpa.
Criminali o intellettuali?
Al protagonista solitario, egoista, a tratti anacronistico - quasi un fantasma che campeggia nei titoli di giornale ("Criminale o intellettuale?") - la Zambrone affida il compito di farsi portavoce di tutta la retorica che la narrazione sul terrorismo si è portata dietro negli anni: si va dall' "eravamo in guerra contro lo Stato italiano" o "come in ogni guerra ognuno ha i suoi morti", a "l'Italia ha sempre rifiutato un'analisi storica di quel periodo". Alla giovanissima Viola spetta invece l'ardua missione di gestirne l'incombente lascito, dopo aver cercato invano di sfuggire a quel destino. La narrazione procede per sottrazioni e interpretazioni misurate, ma il ritmo non sempre è in grado di catturare l'attenzione dello spettatore: la storia va avanti stancamente, conducendo ad un finale alquanto rocambolesco. Il film rimane nel complesso un esordio originale nella scelta del linguaggio oltre che un coraggioso tentativo di rompere vecchi tabù.
Movieplayer.it
2.5/5