Come potrete facilmente intuire dal resto di questa recensione di Dolemite Is My Name, quella di Rudy Ray Moore è una di quelle storie incredibili ma vere. Proprio per questo motivo, il film distributo da Netflix è sì un biopic a tutti gli effetti, ma anche e soprattutto una commedia molto divertente e irriverente su un cinema lontano e spesso dimenticato come quello della blaxploitation anni '70.
Come vedremo, Dolemite Is My Name è facilmente accostabile ad un altro film degli ultimi anni piuttosto simile, The Disaster Artist. Ma, a differenza del film che aveva permesso a James Franco di vincere un Golden Globe come miglior attore, qui c'è un'atmosfera nostalgica e quasi magica che lo avvicina in qualche modo anche ad un sentito omaggio ad un'intera epoca: non vorremmo sembrare blasfemi o troppo azzardati, ma non sarebbe poi troppo sbagliato considerare questo film alla stregua di C'era una volta a... Hollywood, in chiave black ovviamente. E con un numero di parolacce e volgarità tali da far arrossire, per una volta, perfino Quentin Tarantino.
C'era una volta... la blaxploitation
In pochi oggi, ancor più in Italia, conosceranno la storia di Rudy Ray Moore: cantante e stand-up comedian di scarso successo, all'inizio degli anni '70 Moore decise di dare una svolta alla sua vita professionale "rubando" spunti e materiale dalla strada, e registrando degli album in cui recitava battute e rime dai contenuti molto espliciti, se non addirittura osceni. Ovviamente, parliamo degli stessi anni in cui prendeva piede l'industria dei film pornografici, il successo fu immediato, e fu così che Moore decise di imbarcarsi in un progetto ancora più ambizioso e assurdo: un film tutto suo in cui, pur senza alcuna esperienza, avrebbe portato sullo schermo il suo personaggio simbolo, Dolemite, un pappone appena uscito di galera, "esperto" di Kung-fu e pronto a farsi giustizia da solo contro dei poliziotti corrotti.
Non vi spoileriamo nulla, visto che parliamo di fatti realmente avvenuti, se vi diciamo che alla fine riuscirà a coronare il suo sogno, il suo Dolemite sarà un successo gigantesco in tutti gli Stati Uniti tanto da avere diversi sequel. Quello che è più importante, però, è che il personaggio di Dolemite è diventato nei decenni a seguire un vero e proprio simbolo: Moore è considerato sia il padrino/antesignano del rap, che il primo grande comico "a luci rosse", un qualcosa di assolutamente unico soprattutto per un uomo di colore visto che all'epoca comici come Richard Pryor o Bill Cosby cercavano in tutti i modi di entrare nelle grazie anche del pubblico bianco cercando di annullare le differenze culturali. Moore invece scelse di sfruttare gli sterotipi e di unire tutti gli elementi che già stavano funzionando del cinema blaxploitation alle sue (volgarissime) caratteristiche.
Eddie Murphy punta all'Oscar con ruolo che è dinamite pura
Se Moore era un personaggio più unico che raro, Eddie Murphy, come ben sappiamo, pure ha una carriera di tutto rispetto. L'attore di 48 ore e Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills negli ultimi decenni si era concentrato molto di più sui film per famiglie (vedi Il professore matto o Il dottor Dolittle), ma qui evidentemente ritorna molto indietro nel tempo, a quando egli stesso era uno stand-up comedian noto per il gran numero di profanità e sfottò. Dire però che l'Eddie Murphy di Dolemite Is My Name è solo volgarità e battute a sfondo sessuale sarebbe un errore madornale: il suo Rudy Ray Moore è un personaggio a 360°, ricchissimo di sfumature. È un tributo ad un grande e bizzarro personaggio, ma è anche un omaggio ad un cinema che non esiste più se non nei ricordi di coloro che hanno visto cambiare, anche grazie a Dolemite, non solo i film, ma anche la considerazione dell'intera industria cinematografica.
Anche per questo Dolemite Is My Name è un film importante per il pubblico black ed anche per questo potrà forse dire la sua ai prossimi Oscar, perché è sì una commedia (ma in fondo lo era anche Green Book lo scorso anno) ma dal gran cuore e offre uno sguardo niente affatto banale ad un periodo in cui Hollywood era completamente assente nel cuore e nelle sale degli afroamericani. La sceneggiatura di Scott Alexander e Larry Karaszewski - già autori di due grandi (e altrettanto bizzarri) biopic d'autore quali Ed Wood e Man on the moon - riesce a rappresentare tutto questo in maniera esemplare ed Eddie Murphy completa il tutto con una performance divertentissima e oltraggiosa, ma che non sconfina mai nella parodia. Dopo esserci andato molto vicino nel 2007 con Dreamgirls, Eddie Murphy questa volta proverà a vincerlo davvero l'Oscar, questa volta addirittura da protagonista: chissà se la sua celebre risata riuscirà a sovrastare quella del Joker di Joaquin Phoenix.
Conclusioni
Come averete intuito dalla nostra recensione di Dolemite Is My Name, il film di Netflix è molto radicato nella cultura e società USA e forse proprio per questo motivo potrebbe non convincere fin in fondo il pubblico italiano. Anche se la storia, incredibile ma vera, di Rudy Ray Moore è davvero affascinante e sarebbe un peccato perdersela. Così come sarebbe un peccato perdersi un Eddie Murphy straordinario, degno dell'Oscar, e forse alla migliore interpretazione della sua carriera.
Perché ci piace
- Una sceneggiatura solidissima che ben racconta la bizzarra storia di Moore ma anche le atmosfere dell'epoca.
- Eddie Murphy può davvero puntare all'Oscar: la sua interpretazione è divertentissima, sfaccettata ed anche emozionante.
- Il cast di contorno, sebbene spesso oscurato dal gigantesco protagonista, è di alto livello e può contare su alcune comparsate davvero ad effetto: Wesley Snipes, Chris Rock, Snoop Dogg e perfino Bob Odenkirk.
- Il film è molto divertente, soprattutto quando racconta il backstage del film del 1975...
Cosa non va
- ... anche se, va detto, in questo senso le somiglianze con The Disaster Artist sono notevoli. E sì, lo sappiamo che sono entrambe storie vere.
- Molti spettatori, soprattutto non americani, potrebbero non essere altrettanto interessati alla vicenda: per loro il film potrebbe avere un valore, artistico ma anche socio-culturale, inferiore.