"Chiatte" versus "fighette mosce". È il grido di guerra al quale risponde un gruppo di adolescenti, le dolcissime del titolo alle prese con dei chili di troppo, che non sono solo fardelli fisici, ma anche psicologici.
Prima di affrontare questa recensione di Dolcissime, è necessario partire dalla complessità della materia affidata al mezzo cinematografico. Perché quella raccontata dal film di Francesco Ghiaccio scritto insieme a Marco D'Amore e in uscita il 1 agosto, non è semplicemente una storia di accettazione di sé attraverso lo sport, il nuoto sincronizzato, ma è soprattutto una fotografia generazionale, l'istantanea di alcuni dei problemi con cui la "meglio gioventù" di oggi è costretta a confrontarsi. Ed è proprio la messa in scena un po' dozzinale e approssimativa di alcuni argomenti, che meriterebbero invece una trattazione più profonda, a rappresentare una delle debolezze del film, al quale non possiamo però non riconoscere il merito di aver tentato una forma di narrazione della diversità capace di coinvolgere i diretti interessati: quella fetta di pubblico di giovanissimi che il cinema italiano tende a dimenticare spesso.
Una trama semplice sulla ricerca di se stessi
La trama di Dolcissime sposa la semplicità e presenta gli elementi tipici del classico racconto di formazione. Protagoniste Mariagrazia, Chiara e Letizia, le "chiattone" a cui fanno riferimento i titoli di coda, l'epiteto con cui l'inseparabile trio di amiche deve fare quotidianamente i conti per quelle rotondità di troppo che nei corridoi della scuola ormai le definisce.
Ognuna prigioniera di un corpo ingombrante e delle insicurezze che ne derivano: Mariagrazia vive l'impietoso confronto con la madre, ex campionessa di nuoto sincronizzato, magra, bellissima e intransigente al punto da proiettare i propri sogni spezzati su una figlia che evidentemente non le somiglia in nulla; Chiara non ha il coraggio di mostrarsi al ragazzo che ha conosciuto in chat e di cui si è innamorata e Letizia invece è impegnata a nascondere al mondo il proprio talento per la musica, se ne vergogna troppo per poterlo esibire.
La loro rivincita passerà attraverso la piscina scolastica, dove inizieranno clandestine sessioni di allenamento con la complicità di Alice, bellissima capitana della squadra di nuoto sincronizzato, che vittima di un ricatto accetterà di allenarle.
L'elemento acquatico diventa per Francesco Ghiaccio protagonista essenziale e significante della maggior parte delle inquadrature: l'acqua eleva, purifica, alleggerisce, livella. Dall'acqua passa il cammino di ricerca e affermazione di sé al di là degli stereotipi a cui la modernità ci ha abituato, ed è risalendo dal fondo verso la superficie che le amabili "ciccione" troveranno la forza di mostrarsi per quello che sono, con buona pace di diete e bibitoni.
Ma se la regia, pur nella sua convenzionalità, si distingue per alcune scelte estetiche e per la grazia con cui indugia sulle forme femminili, lo stesso non può dirsi della scrittura debole, prevedibile, infarcita di luoghi comuni e retorica.
Rischioso inoltre il modo semplicistico con cui il film tende a liquidare alcune tematiche, come il problema alimentare che affligge le protagoniste o la disfunzionalità di certe relazioni familiari. Ci vuole molto di più che la disciplina dello sport e la voglia di mettersi in gioco, per convincere tre adolescenti profondamente a disagio con la propria immagine, che alla fine andrà tutto bene e che nessuno le giudicherà.
25 film italiani recenti da vedere
Le grazie dei personaggi
La leggerezza dei corpi inquadrati sott'acqua rischia di essere oscurata dal peso dei dialoghi banali e poco credibili, che pagano spesso il prezzo del didascalismo: non aiuta in questo caso che le protagoniste principali di Dolcissime interpretate da Giulia Fiorellino, Margherita De Francisco, Giulia Barbuto Costa Da Cruz e Alice Manfredi, siano attrici alle prime armi, che avrebbero avuto bisogno di una guida più attenta. Non sempre lo scambio di battute ha la naturalezza e la spontaneità necessarie per attuare quella sospensione dell'incredulità che fa parte del patto siglato con lo spettare.
Mariagrazia, Chiara, Letizia e Alice rischiano di rimanere personaggi incapaci di emanciparsi dalla carta, sagome dai confini poco definiti e prive di un adeguato approfondimento psicologico. A salvarli è ancora una volta la regia che riesce a ritrarne l'infinita dolcezza, il resto rimane aggrappato alle buone intenzioni.
"Grasso è bello" recitava il titolo del film di John Waters nel 1988, ma quella era tutta un'altra storia.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Dolcissime apprezzando le buone intenzioni di un film che prova a parlare a un pubblico di adolescenti, con una storia di formazione e accettazione che li convolge direttamente. Meritevole sul piano della regia, il film pecca a livello di scrittura incapace di andare aldilà dei clichè e del didascalismo. I dialoghi poco credibili e l'inesperienza delle attrici fanno il resto.
Perché ci piace
- La grazia con cui la regia indugia sui corpi femminili.
- L'attenzione al tema dell'accettazione adolescenziale cercando il dialogo con i più giovani, una fetta di pubblico che il cinema italiano tende a trascurare.
Cosa non va
- Una scrittura retorica che ricalca con toni edulcorati clichè e luoghi comuni dell'universo adolescenziale.
- Il modo semplicistico e superficiale con cui il film decide di affrontare certi argomenti.
- Dialoghi poco credibili e una recitazione acerba.