Vogliamo iniziare la nostra recensione di Dolce fine giornata con le certezze. Il film, presentato al Sundance Film Festival del 2019, arriva da noi solo ora su Sky. Diretto dal regista polacco Jacek Borchuch, Dolce fine giornata vede nel cast nomi a noi noti, come quelli di Kasia Smutniak e Antonio Catania, a far da supporto alla protagonista indiscussa Krystyna Janda. È un film che ben appartiene al filone dei drammi intimi, che segue un personaggio e prova a scrutarne i pensieri nella speranza che il suo agire diventi un po' l'agire stesso degli spettatori. Che i suoi pensieri riescano a dar voce ai nostri pensieri, anche solo per abbracciare un punto di vista a noi atipico o diverso. Ed è anche un film con un forte messaggio antirazzista e umanista. Vuole rappresentare la vita, con tutte le sue sfumature, ma proprio l'intento nobile che il regista si pone si accartoccia su sé stesso nel tentativo di una linea drammaturgica ben definita. Le troppe sfumature del personaggio si tramutano in nebbia, quella capace di donare fascino all'ambiente e renderlo poetico, ma che tuttavia nasconde la strada da seguire rischiando di farci smarrire.
La voce della poetessa
Maria Linde (Krystyna Janda) è una poetessa premio Nobel per la letteratura che vive in Toscana con la sua famiglia composta da un marito italiano Antonio (Antonio Catania), la figlia Anna (Kasia Smutniak) e i giovani nipoti. La vita in campagna scorre semplice, serena e senza particolari sussulti. L'arrivo di Nazeer (Lorenzo de Moor), un giovane e simpatico egiziano immigrato, dona a Maria Linde una nuova luce (o forse dovremmo dire fuoco) di passione. In lotta tra la sua mente intellettuale e libera, un'esistenza ormai consolidata e sin troppo serena, e un corpo che via via invecchia sempre più, Maria si ritroverà a fare i conti con la propria identità e con i propri sentimenti a costo di iniziare una lenta frattura non solo con gli affetti famigliari ma anche con la sua carriera e l'opinione pubblica. Un attentato terroristico a Roma sarà l'evento che porterà Maria in una spirale di cambiamenti a cui non potrà sottrarsi. Il film abbraccia sin da subito il punto di vista della protagonista, relegando il restante parco di personaggi a satelliti che orbitano intorno a lei. Senza dubbio la voce di questa poetessa ci viene presentata come autorevole mischiando l'opinione che gli altri hanno di lei con quella che lei ha di sé stessa. Un tentativo onorevole se non che, nel suo procedere, il film sembra girare un po' a vuoto depotenziando persino quella stessa voce su cui noi spettatori dovremmo rifletterci.
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La complessità delle sfumature della vita
Potremmo anche soprassedere sul ritmo sbilanciato del film (la storia vera e propria inizia verso la metà) e su una serie di storyline che sembrano importanti ai fini narrativi ma che poi si concludono all'improvviso in un nulla di fatto. Potremmo ritenere che la struttura stessa del film voglia in qualche modo richiamare la complessità della vita stessa, composta da storie che esulano dalla dimensione drammaturgica che un film di finzione, inesorabilmente, deve catturare e racchiudere dentro certi limiti. Il problema vero è quando tutto appare così sfumato e non definitivo da nascondere il tema principale del film agli occhi dello spettatore. Si affrontano tanti temi: la vecchiaia del corpo che limita la giovinezza della mente, la figura pubblica che non coincide con la figura privata, il razzismo e la paura verso un "diverso" che, a seconda delle generazioni, cambia vittima pur rimanendo sempre uguale, la libertà di potersi esprimere, eppure si ha la sensazione che non se ne stia affrontando davvero nessuno. Proprio su ciò che riguarda la libertà di potersi esprimere sentiamo di doverci soffermare un po' di più per evidenziare il maggior problema del film. Ha un'enorme importanza narrativa e tematica il discorso che Maria pronuncia dopo l'attentato a Roma: lo spettatore dovrebbe comprendere la provocazione delle sue parole ma, in qualche modo, sostenere la causa e punto di vista della protagonista. Ma se nella scena successiva, la stessa Maria dimostra un atteggiamento autodistruttivo ai limiti della legalità, questo legame con lo spettatore è destinato ad accusare il colpo. Incerto sul punto di vista del film e su ciò che vorrebbe dichiarare, il pubblico potrebbe ben presto abbandonare ogni attenzione e sforzo nel cercare di comprendere i personaggi, addirittura arrivando a distanziarsi da loro.
Pregi e difetti di una storia umana
Il risultato del film è un calderone in cui smarrirsi, senza particolare piacere. Se da un lato non possiamo fare a meno di apprezzare la recitazione dell'intero cast (penalizzato a tratti da dialoghi innaturali e fin troppo letterari e artificiosi) su cui Krystyna Jand spicca senza ombra di dubbio con un personaggio che avrebbe meritato una scrittura migliore, dall'altro l'insieme di temi, anche piuttosto importanti, non è ben tratteggiato, con la conseguenza di una errata interpretazione delle vicende. Come accade alla protagonista che viene criticata dopo il discorso provocatorio, il film non riesce a costruire una comunicazione chiara con lo spettatore, a fargli comprendere al meglio lo spirito libero di Maria e, quindi, a costruirne un rapporto. Rimangono da notare la regia asciutta e adatta al racconto di Jacek Borcuch, semplice ma efficace nel catturare attraverso le immagini tutti gli elementi necessari per la scena, e la fotografia di Michal Dymek, qui al suo esordio, ma già capace di dosare luci e colori con una maestria che si nota soprattutto nelle bellissime sequenze notturne.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Dolce fine giornata non possiamo considerare il film polacco particolarmente riuscito. Nonostante una buona regia, una fotografia perfettamente calibrata e un talentuoso cast, il film cerca di non dare risposte chiare sulla complessità della vita. Un obiettivo pregevole se non che una scrittura un po’ troppo artificiosa e l’abbondanza di temi non del tutto chiari o ben delineati all’interno della struttura drammaturgica rischiano di confondere lo spettatore che si sente abbandonato in questo confuso ritratto di vita, smarrito nella nebbia delle sfumature della complessità.
Perché ci piace
- Il cast è talentuoso, in particolar modo la protagonista Krystyna Jand capace di dare corpo a un personaggio sulla carta interessante.
- La regia e la fotografia molto curate dimostrano un’attenzione all’aspetto visivo che non sempre si riscontra in questo tipo di produzioni.
Cosa non va
- La scrittura artificiosa non aiuta i personaggi ad emergere.
- Troppi temi importanti non adeguatamente approfonditi: il risultato è una confusione tematica che allontana lo spettatore e che rende il film poco chiaro.