Una routine quotidiana composta da orari prefissati, allenamenti, ordine e disciplina e a volte tempo libero. È questa la vita di due sorelle e un fratello che sono chiusi all'interno della loro abitazione (bella grande, a dire il vero, completa di giardino e piscina), terrorizzati dal mondo esterno e ciecamente fedeli ai propri genitori. Non conosciamo i loro nomi, non conosciamo la loro età (possiamo immaginare che siano tre persone dai 18 ai 35 anni), non sappiamo nulla di loro e nemmeno veniamo a conoscenza dei motivi che stanno dietro alla decisione dei loro genitori di crescerli in questa maniera. Imparano parole con significati diversi dal linguaggio comune (Mare: una sedia coi braccioli. Esempio: Vai in salotto e siediti sul mare), non hanno alcun tipo di contatto con l'esterno (ad eccezione del fratello che riceve la visita di una donna per brevi incontri sessuali voluti dal padre) e aspettano di poter perdere un canino (la traduzione del titolo) che, secondo quello che i genitori hanno raccontato, è il segno che possono finalmente vivere da soli e uscire dalla casa. Cinico, duro, spietato, assurdo, grottesco, freddo, appassionante e a tratti divertente: tutto questo è Dogtooth, un film che per anni è rimasto inedito nel nostro Paese e croce e delizia dei cinefili più appassionati che, sin dal 2009, hanno trasformato il secondo lungometraggio a firma Yorgos Lanthimos in un'opera cult.
Ora, con soli 11 anni di ritardo, finalmente anche noi italiani abbiamo la possibilità di scoprire questo gioiello greco, autoriale e imperdibile, e lasciarci ammaliare dall'ipnotico ritmo ben dosato del film. Perché guardare Dogtooth è come aprire una finestra malsana che respinge e da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Fino ad arrivare a quegli ultimi dieci minuti che provocano la frattura più grossa all'interno dell'equilibrio narrativo del film. Si chiude in maniera enigmatica, il film di Lanthimos, ed ecco perché vogliamo analizzarne i temi più importanti e cercare di scoprire il vero significato del finale di Dogtooth.
Di cani e canini
Il padre vuole un cane e si deve accontentare dei figli. Oppure, il padre vede i cani addestrati così fedeli al loro padrone che cerca di usare gli stessi metodi con i figli. Oppure, il padre sente di creare una famiglia perfetta e un mondo perfetto se i figli si comportano come cani. Li fa abbaiare, insegna loro a uccidere i gatti, a leccare, a essere servili. Non sapremo mai i veri motivi che hanno spinto questa coppia di sposi ad educare e crescere i figli in questa maniera perversa facendo loro da genitori, da maestri, da padroni. Una famiglia di cinque persone composta da due pianeti e tre satelliti: un microcosmo che non ammette rivoluzioni o cambiamenti perché così funziona l'universo, tant'è che l'unico evento che può modificare gli equilibri è la caduta di un canino dalla bocca dei figli, ormai già adulti. Il canino perduto è il segnale dell'avvenuta crescita (cos'è l'età se non un semplice numero quando la mente rimane quella di un bambino?) e la possibilità di recidere il cordone ombelicale e allontanarsi dal nido. Non avverrà mai: lo sanno i genitori e lo sappiamo noi spettatori. Per questo continuiamo a guardare Dogtooth, non tanto nella speranza di un cambiamento, ma per curiosità dell'esperimento messo in atto. Come perversi voyeur non possiamo trattenerci dal rimanere disgustati ma anche divertiti - se dentro di noi siamo a nostro modo cinici come i genitori del film - dalla finestra (sul cortile) che si è aperta di fronte a noi.
Dogtooth, la recensione: il Graal di Lanthimos finalmente si mostra al cinema
Sesso e cinema contro la rigidità dell'esistenza
Non abbiamo parlato di voyeurismo a caso, anche citando tra le righe un classico di Alfred Hitchcock, che faceva dell'osservazione e del coinvolgimento da spettatore il suo punto di forza. Perché se assistere alla routine quotidiana fredda e glaciale, senza vere emozioni e con una certa difficoltà relazionale anche tra fratelli e genitori (da notare come la sorella minore parla sempre soppesando le parole come fosse un automa) in qualche modo ci affascina, Dogtooth riesce a usare il sesso e lo stesso cinema come agenti esterni che contaminano e fratturano l'universo perfetto in cui i personaggi del film si muovono. Christina, la guardia della fabbrica dove lavora il padre che ciclicamente (e accuratamente bendata per renderla ignara della posizione della casa) fa visita al fratello per amplessi automatizzati e senza passione, sarà la donna che distruggerà il paradiso dell'Eden del demiurgo paterno. La forza femminile, l'unica che si fa portatrice di un nome proprio, dalla forte identità, che, nonostante venga punita, ha la capacità di spezzare la rigidità dell'esistenza: farà scoprire nuovi giochi erotici al fratello e alla sorella maggiore che a sua volta contagerà la sorella minore. E non solo: perché se il gioco voyeuristico di noi spettatori ci affascina, lo stesso capita alla sorella maggiore quando riesce ad avere in dono alcune videocassette di film hollywoodiani (quindi internazionali) proprio da Christina. A quel punto la conoscenza del diverso, del mondo esterno, delle sfumature di cui è composta la vita, dell'arte, tutti elementi che il padre aveva abolito (persino la televisione veniva usata solo per mostrare filmini amatoriali di famiglia), costituiscono un'epifania. Se il fratello maggiore e la sorella minore rimangono attraverso l'incesto (anche questo voluto dal padre dopo la scomparsa di Christina) nel loro paradiso artificiale, la sorella maggiore conoscendo Rocky, Flashdance e Lo squalo sente il bisogno di oltrepassare il cancello e uscire nel mondo.
Fuori dal cosmo, lontano dalla vita
La sorella maggiore prende la decisione: perderà il suo canino e potrà così uscire da quella che, nel corso dei 90 minuti di film, si è trasformata da casa protettiva a vera e propria prigione. Proprio la sera dell'anniversario di matrimonio dei genitori, va in bagno e si rompe il dente brutalmente, soffrendo e sanguinando, lasciando traccia di sé nel lavandino e sullo specchio del bagno. Si nasconde nel bagagliaio dell'auto del padre (solo il padre poteva varcare i confini del cancello di casa e solo con l'auto) e attende. Un'attesa infinita che molto probabilmente la porterà alla morte. La mattina dopo, il padre esce di casa per andare al lavoro e parcheggia l'auto. Noi attendiamo che il bagagliaio si apra, che la sorella maggiore riesca ad uscire dall'auto e affrontare finalmente la luce del giorno e il mondo esterno. Ma rimaniamo in attesa fino ai titoli di coda. Non sapremmo mai se si tratta di un ripensamento della ragazza o della sua avvenuta morte. Noi tendiamo a credere che, vista la quantità di sangue persa e il tempo trascorso, la sorella abbia trovato la propria fine nel tentativo di liberarsi. Allontanandosi dal cosmo, dal suo universo, dal movimento esistenziale di cui era partecipe, dall'equilibrio che, con la sua mente fragile e plagiata, le permetteva di vivere, la ragazza è destinata a uscire dal tempo, rinchiudendosi in un buco nero senza uscita. Un finale che lascia l'amaro in bocca, pessimista e nichilista: alla fine aveva ragione il padre.