Sono immediatamente ravvisabili due filoni nell'ultimo film di Sergio Rubini: uno nostrano (Ferie d'agosto, Caterina va in città, I nostri ragazzi), che contrappone la destra e la sinistra con le rispettive falle e contraddizioni; l'altro più internazionale (Carnage, Cena tra amici, ripreso dall'italiano Il nome del figlio), che vede costretti dentro quattro mura individui, spesso appaiati, esacerbati da lunghissimi confronti verbali che anziché appianare le divergenze reciproche le esasperano, fino al botto finale.
Non riconoscere somiglianze con altri film è quindi impossibile, così come evitare paragoni. E proprio nei paragoni Dobbiamo parlare risulta deboluccio. Carnage, il più diretto antenato realizzato da Roman Polanski, era senza dubbio molto più raffinato e graffiante. E quante volte, nei film italiani, abbiamo assistito a intellettuali di una sinistra incancrenita intrappolati nella ragnatela dei loro stessi ragionamenti "intorcinati" (per citare il buffo "Prof" romanaccio, interpretato da un inedito Fabrizio Bentivoglio)? Quante volte, negli stessi film, abbiamo ascoltato personaggi destrorsi parlare di soldi e delle classiche "rogne pratiche", per stabilire, con le sopracciglia inarcate dallo stupore, che in fondo erano più simpatici dei loro intorcinati antagonisti?
Tutte le acquisizioni, che abbiamo accolto dapprima con sorpresa e via via come déjà vu, sono già state ampiamente elaborate, e Dobbiamo parlare ha rischiato di proposito tutti gli stereotipi e il macchiettismo del caso, e inevitabilmente ci è inciampato sopra. Per apprezzare il film nei suoi momenti d'indubbio divertimento, quindi, dobbiamo fare un piccolo sforzo e abbandonare ogni sguardo smaliziato: essere più simili alla coppia Bentivoglio-Calzone e un po' meno a quella Rubini- Ragonese. E allora ridiamo anche di gusto.
La coppia Rubini-Ragonese
Vanni è uno scrittore sulla cinquantina, ancora scottato dal fatto che l'ultimo suo romanzo non abbia venduto le copie sperate. Linda è una colta trentenne, segretamente frustrata perché il compagno non si decide a separarsi ufficialmente dalla moglie, e sui libri scritti a quattro mani compare solo la firma di lui. Vivono in affitto in un accogliente attico al centro di Roma, dove però lo scaldabagno non scalda e gli infissi sono permeabili all'acqua. Sembrerebbe quasi la metafora di un rapporto solido solo all'apparenza, ma ragioniamo di nuovo da spettatori intorcinati.
Affinché non ci sfugga neanche a volerci impegnare l'orientamento politico della coppia, il mobilio include una gigantografia di Mao Tse-tung. Ma il film non prevede sfumature, e questo sembra rimarcarlo con orgoglio sin dall'inizio.
L'elemento di forza nella coppia Rubini-Ragonese è senz'altro Rubini, con la sua pacatezza fuori luogo, i suoi tentativi di fare da paciere a oltranza, il suo lessico forbito che punteggia la sguaiatezza della coppia speculare. "Zoccola a costo zero è un grandissimo ossimoro, eh?", commenterà con malcelato imbarazzo per far ragionare Costanza, inviperita per il tradimento del marito. Com'è stato per Magda con Furio, sarà inevitabile il cedimento nervoso di Linda, che reagirà istericamente rivelandosi meno trasparente di quanto faceva credere. Nonostante la consolidata bravura di Isabella Ragonese, però, lei appare l'interprete meno in parte: la meno adatta ‒ forse proprio per la sua innata eleganza ‒ a trasfigurarsi in macchietta.
La coppia Bentivoglio-Calzone
Alfredo, detto il Prof, e Costanza: a loro è delegata la simpatia del film. Quella naïveté grossolana che risulta scusabile proprio perché irresistibile. Lei è dermatologa, pragmatica, morbosamente attaccata ai soldi del marito e ferita dal tradimento di lui più nella prospettiva di rimanere al verde che per un ideale di matrimonio romantico che non le appartiene. Residente ai Parioli, evidenzia continuamente i dettagli in cui difetta l'appartamento degli amici: dal frigo vuoto agli infissi usurati. Ma è sanguigna, verace, e le sue contraddizioni sentimentali non risultano neanche ipocrite. Tale e quale al marito: a volte inconsapevolmente usano le stesse frasi, sintomo di una sintonia che neppure loro avevano premeditato.
Perché anche il Prof ci è dannatamente simpatico, nella sua sbruffonaggine romanesca con cui sottolinea a mo' di refrain la quantità di soldi succhiati dalla moglie, così come l'importanza del suo lavoro di chirurgo. Con tanto di dettagli macabri, raccontati con quel cattivo gusto esibito come una medaglia. Ed entrambi gli interpreti, Fabrizio Bentivoglio e Maria Pia Calzone, si dimostrano nel complesso in parte: vacillano inizialmente, per una recitazione caricaturale che ci fa un po' storcere il naso; ma poi appaiono più convinti e divertiti dai propri personaggi, e sono un efficace contraltare alla pedanteria di Rubini. Certo, è a dir poco singolare che il Prof e Costanza siano i migliori amici di una coppia così diversa da loro; ma questa stranezza viene saggiamente riassorbita dalle parole di Linda, che in un impeto di sincerità si dice affezionata alla rozzezza e perfino al razzismo del Prof.
Inoltre assistere a quell'impietoso tutti-contro-tutti dà troppa soddisfazione per voler sottilizzare; Dobbiamo parlare, l'abbiamo detto, non brilla per finezze psicologiche.
L'amore non basta?
Rubini, che ha scritto il film insieme alla compagna Carla Cavalluzzi e allo scrittore Diego De Silva, elaborando la sceneggiatura parallelamente a delle prove teatrali (poi diventate pièce) che stabilissero cosa funzionasse e cosa no del copione, si è dichiarato interessato alle dinamiche per cui una coppia chiede aiuto a un'altra e la risucchia nel suo vortice di rinfacci. Più volte, nel corso del film, viene ribadito l'amore che unisce Linda e Vanni, contrapposto agli interessi economici che legano invece Alfredo e Costanza. Ma l'amore basta a imbavagliare pesanti frustrazioni e, soprattutto, il potentissimo amor proprio? Vince il sentimento verso l'altro o il proprio ego, che fa scrivere un romanzo di nascosto, fa accaparrarsi i meriti di un progetto comune, fa sviluppare un'insofferenza strisciante e più deleteria di mille improperi urlati sguaiatamente? Allora ecco che un banale apribottiglie, dal design raffinato ma dalla scarsa funzionalità, si rivela un validissimo motivo di lite. E che il patrimonio comune si dimostra un incentivo tutt'altro che trascurabile, per tenere a galla una coppia a suo modo funzionante.
"Dobbiamo parlare": l'incipit temuto da ogni partner, che a ragione prevede fiumi di recriminazioni, sembra la formula magica per far deflagrare qualsiasi relazione. Dobbiamo tacere, invece; o insultarci con grida liberatorie e poi subito dimenticare. Dobbiamo fare come il pesce rosso, che con la voce di Antonio Albanese apre e chiude il film, sguazzando imperturbabile nella sua boccia di vetro. Ma è assodato che Non-Dobbiamo-Assolutamente-Parlare.