Di amore e di rivoluzione, di desiderio e di ardente passione. Per la regista, "un racconto di grandi contraddizioni". Dopo il sorprendete Settembre (uno dei migliori esordi degli ultimi anni), Giulia Louise Steigerwalt torna dietro la macchina da presa, tentando il salto carpiato con Diva Futura. Un film che, a guardar bene, sembra più una scelta, che un'opera pienamente riuscita. Una scelta ambiziosa, consapevole, e se vogliamo apprezzabile e rispettabile, al netto di una summa finale probabilmente sbilenca.
A proposito di coraggio e di visione, se il cinema italiano, oggi, soffre di un certo immobilismo, di certo non si può dire lo stesso di Groelandia, quella factory produttiva che tenta, che ci prova a sovvertire gli schemi (per dovere di cronaca, dietro al film ci sono anche Piper Film e Rai Cinema). E prova, in questo caso, a delineare lo specchio di un'Italia che fu, e oggi rinchiusa e impolverata in un vecchio ufficio sulla Via Cassia. Un'Italia malinconia ma vitale, tragica e utopica nel suo essere paradossale. I paradossi di un'industria che accende il sogno, che infuoca e crea il mito da accarezzare lontano da occhi indiscreti.
Diva Futura, l'Italia della rivoluzione sessuale (in VHS)
Come diceva una vecchia canzone, tutto inizia e tutto finisce sul Grande Raccordo Anulare. Confine di Far West dove il trash diventa politica, e la politica diventa trash. L'Italia del potere e del sesso, dei radicali e delle pornostar. Il Paese delle canzonette, dei brillocchi, del mito americano che punta alla bellezza, all'irraggiungibile. Un mito americano che diventa, di colpo, tutto italiano. Diva Futura, che racconta di quell'agenzia omonima ideata e plasmata da Riccardo Schicchi (nel film Pietro Castellitto), capace di spaccare in due la contro-cultura, elargendo Cicciolina (Lidija Kordić) come guida spirituale ed erotica di un popolo ancora capace di sognare (dopo anni bui). Schicchi e la sua ricerca di poesia dietro la mercificazione del corpo della donna. Schicchi, i suoi gatti, i suoi conigli, il suo serpente.
Ancora, Schicchi e l'inizio di una nuova epoca da riavvolgere come un nastro di una VHS ormai consumata. Ilona Staller in Parlamento, il Partito dell'Amore, la dolente e fragile meraviglia di Moana Pozzi (Denise Capezza), l'utopia di Eva Henger (Tesa Litvan) altro centro di un film osservato e quindi raccontato - questa è l'intuizione migliore - attraverso gli occhi puri e interdetti di Debora (Barbara Ronchi), giovane segretaria del Diva Futura (il film è infatti tratto da Non dite alla mamma che faccio la segretaria, firmato proprio da Debora Attanasio), nonché testimone e filo conduttore di una famiglia allargata, incorreggibile e meravigliosamente disfunzionale.
Diva futura. O di quando l'Italia scoprì il porno grazie a Riccardo Schicchi
Il valore dello storytelling in un film che manca il guizzo giusto
E se di paradossi parliamo, tra il serio ed il faceto, ecco che Diva Futura, tra i colori di un aulico protagonista, diventa però l'accenno di ciò che il film avrebbe potuto essere. Un accenno, una scintilla, un ritratto "volutamente imparziale" ma, purtroppo, spuntato nell'affilata arguzia che, poco a poco, sembra sfilacciarsi, perdendo forma, cedendo di ritmo, mollando la presa, tanto che il film sembra quasi voler puntare al piccolo più che al grande schermo. Smarriamo il senso di stupore, nonché l'umorismo, a volte dirompente, gustosamente tranchant. Non che Diva Futura debba far ridere - anzi, c'è un senso di incombente tragedia mossa dal montaggio che incrocia diverse epoche - ma è proprio la sagacia di un personaggio altamente cinematografico come Schicchi che, a volte, viene meno o, per contrappasso, diventa quasi sovraesposto (magari per l'altalenante interpretazione di Castellitto?).
Giulia Louise Steigerwalt, comunque, sceglie l'empatia come strumento di racconto. Non ci sono tesi o profili, ma dei veri e propri approfondimenti dei personaggi (tanti) che schizzano tra la realtà e l'immaginazione, un po' come il dramma che diventa commedia, da sempre linguaggio amato dalla regista anche nelle sceneggiature da lei firmate (e di questo le va dato oggettivo atto e merito). In questo caso, per ammissione dell'autrice, ogni episodio è stato in qualche modo tramandato dai diretti interessati. Pur ispirato a fatti reali, in Diva Futura è preponderante il senso dello storytelling.
Lato di forte interesse, in quanto viene illuminata una rivoluzione sociale e politica che affida il proprio credo nel desiderio proibito. Diventa quasi nostalgico nell'idea contemporanea che abbiamo del desiderio stesso: in un'Era iper-veloce, in cui abbiamo a disposizione il piacere senza passare per l'interdetto, la figura di Schicchi, riottosa e romantica secondo lo sguardo della regista, concretizza un'emozione astratta, mostrando un passato che pensa al futuro: oggi, quello spirito ardito e intraprendente, sembra preferire - senza fare proselitismi - l'immoralità all'amoralità (differenza sostanziale, come diceva Schicchi), facendo crollare il mito e comprimendo la libertà in nome di qualcosa di più oscuro, e sicuramente meno poetico. Senza dubbio, lo spunto migliore, quello da preservare e rispettare. E allora è il guizzo decisivo che forse manca in Diva Futura, per un trasporto solo teorico invece che tangibile.
Conclusioni
Bisogna oggettivamente sottolineare l'ambizione di puntare ad un cinema nuovo, fresco, a tratti spregiudicato. Un cinema che esalta il valore del racconto, tra umorismo e tragedia, tra rivoluzione e storia culturale. Tuttavia, dietro un buon cast e una buona regia (anche se a tratti debitrice ad una messa in scena da piccolo schermo) Diva Futura manca il guizzo giusto, fermandosi nell'ipotetica dimensione di un'opera non del tutto compiuta. Dopo il bel Settembre, questo è solo il secondo film di Giulia Louise Steigerwalt: c'è tutto il tempo e tutto il talento necessario per rifarsi.
Perché ci piace
- L'ambizione di fare un cinema diverso.
- L'atmosfera.
- L'umorismo.
Cosa non va
- Pochi guizzi.
- Un cinema che strizza l'occhio alla messa in scena tv.
- A tratti indeterminato.