Dopo aver diretto un documentario sul pugile messicano Julio César Chávez, Diego Luna torna a realizzare un biopic incentrato su un altro Chavez, anche lui di origine messicana, quasi omonimo del pugile. César Chávez è una pellicola militante prodotta dalla Canana Films di Luna e del socio e amico Gael Garcia Bernal, società che si propone di rilanciare il cinema messicano promuovendo nuovi talenti e realizzando pellicole di valore sociopolitico. In quest'ottica si colloca César Chávez, interessante opera biografica che racconta con stile asciutto e immediato la parabola del sindacalista di origine messicana, fondatore del Sindacato Nazionale dei Contadini. Eccitato per la nuova avventura cinematografica, ma anche consapevole dell'importanza storica di un'opera che consacra di fronte al grande pubblico la lotta di un uomo per i diritti dei lavoratori agricoli, il sorridente Diego Luna approda alla Berlinale accompagnato dal protagonista Michael Peña e da una delle due prime donne del film, [PEOPLE=/personaggi/america-ferrera_30889/]America Ferrera, che interpreta la moglie di Cesar, Helen Chavez. Con loro è presente al festival Dolores Huerta, leggendaria sindacalista e braccio destro di Chavez interpretata, nella finzione filmica, da Rosario Dawson.
Diego, raccontaci come mai hai deciso di dirigere questo progetto.Diego Luna: Prima di fare il film non conoscevo César Chávez. Sono così felice di essere qui a Berlino perché presento il frutto di quattro anni di ricerche e di lavoro. Ho un figlio nato a Los Angeles perciò un membro della mia famiglia è di origine messicanoamericana, proprio come Chavez. Volevo fare qualcosa per la mia gente e volevo fare qualcosa usando la prospettiva di un americano. Per raccontare una storia che ha molto a che fare con ciò che siamo, ma che nessuno conosce in Messico, sono andato a girare nei campi di Sonora. Spero che il film susciti il dibattito che merita perché è un'opera importante.
César Chávez affronta in parte anche il problema dell'immigrazione e delle condizioni di vita dei lavoratori immigrati. Tema comune a varie parti del mondo, anche all'Italia.
Diego Luna: Quello che posso dire è che non volevamo idealizzare il personaggio. César credeva che le cose potessero davvero cambiare ed ha agito in prima persona, come molti immigrati. Anche il nonno del personaggio interpretato da John Malkovich è greco e ha cambiato paese per assicurare dei privilegi alla sua famiglia. Privilegi che ora il nipote non vuole cedere. Ho discusso molto con John sul suo personaggio per trovare un equilibrio su questo aspetto.
Michael Peña: In America il suo sindacato è molto noto. Ci sono scuole e istituti che portano il suo nome. E' parte della storia americana, ma non sono in molti a sapere che cosa abbia fatto realmente. Prima di questo film era diventato un nome da enciclopedia, da Wikipedia. Noi speriamo di rendere celebre la sua opera, mostrando ciò che ha fatto realmente, per aiutare i giovani a comprendere l'importanza.
Dolores, cosa pensa di questo film?
Dolores Huerta: Per me è una pellicola importante perché incita i lavoratori a riunirsi, a riconoscere il proprio valore. Molte persone, all'epoca degli eventi narrati, hanno prestato la loro opera da volontari per diffondere il messaggio del sindacato. Le persone hanno la possiblità di cambiare le cose, ma è importante che si organizzino. Voglio ringraziare Diego e gli altri che hanno realizzato questo film perché restituisce la speranza e ci aiuta a capire che se noi non ci rimbocchiamo le maniche nessuno farà qualcosa per noi.
America, cosa si prova a essere la moglie di un personaggio così importante anche solo nella finzione?
America Ferrera: Sarò sempre grata a Diego per avermi dato la possibilità di partecipare a un film così fondamentale e per aver mostrato il ruolo centrale delle donne nello sviluppo del sindacato. Io sono cresciuta in California e non conoscevo Chávez, ma so cosa significa lottare per il proprio lavoro. Interpreto una donna che è critica nei confronti del movimento, ma aderisce comunque, supporta il marito e i figli, affronta le difficoltà del caso. Helen lotta per la sua famiglia mostrando il grande valore delle donne.
Diego Luna: La questione della storia del Sindacato Nazionale dei Contadini è molto delicata. La lotta di Chávez si concentrava sui diritti elementari negati ai lavoratori: andare in bagno, fermarsi a bere durante il lavoro, guadagnare un salario dignitoso. Volevamo focalizzarci su questa importante vittoria senza aggiungere altro. E' sempre difficile raccontare la storia di una vita in un'ora e 40. Questi dieci anni che mostriamo sono quelli in cui tutto è partito. Abbiamo altri quattro film pronti su questi quattro anni. Non è un argomento che si possa esaurire facilmente perché coinvolge tantissime persone. I film non hanno il compito di educare le persone, ma possono dar vita a un dibattito. Il movimento che racconto è ben documentato e vogliamo raccontarlo a un pubblico più grande.
Dal film emerge non solo il sindacalista, ma anche l'uomo. Come hai creato questo equilibrio tra parte pubblica e privata?
Diego Luna: Sono partito col fare un film su un boicottaggio e ho finito per fare un film su un padre e su un figlio. Non molti di noi conoscono il lavoro nei campi, ma tutti sanno cosa vuol dire essere un figlio o un padre. Ho attinto al nostro lato umano. Nella prima bozza della sceneggiatura non c'erano molti elementi legati al privato di Chávez, ma parlando con le persone che lo hanno conosciuto abbiamo aggiunto i dettagli sulla gelosia nei confronti della moglie e altre piccole cose.
Diego Luna: La prima cosa che ho appreso di Cesar è che era una persona che passava inosservata e stava seduto per ore ad ascoltare i compagni. Non era un personaggio affascinante, che catturava l'attenzione delle masse e amava fare discorsi al microfono. Era una persona normale con una vita modesta. Un'altra cosa che ho scoperto di lui è che amava il jazz, sopratutto Miles Davis. Questa è la ragione per cui il movimento ha scelto di essere rappresentato da brani jazz e non da musica messicana. A un certo punto della sua vita Chávez è diventato vegetariano, praticava yoga. Era lontano dallo stereotipo del messicano che mangia burritos. Parlava spagnolo solo col padre, ma inglese coi figli. Ci sono tante cose di lui che sono state alterate dal mito e fare questo film ci ha aiutato a fare chiarezza.
Sembri molto coinvolto da questo progetto. Cosa succederà ora? Cosa farai dopo la premiere mondiale?
Diego Luna: Questo per me è un sogno. Essere qui significa che le persone parleranno del mio film e si interesseranno al tema. Presto la pellicola uscirà negli Stati Uniti, dove questi eventi sono accaduti e dove se ne parla ancora con difficoltà. I film devono rappresentare la propria comunità perciò penso che il nostro principale obiettivo sia far vedere Cesar Chavez nella sua complessità. Dopo aver fatto un film sul pugile Chaves e sul sindacalista Chavez, però, prometto che il mio prossimo lavoro non sarà su Hugo Chavez.
Dolores Huerta: Oggi ci sono migliaia di lavoratori che hanno un contratto, hanno una paga sufficiente, gli è stato riconosciuto il diritto di organizzarsi e di scioperare. Tutto questo viene celebrato grazie al film di Diego. Però ci sono tante altre persone che rischiano di perdere il lavoro o che lo hanno perso. La lotta non è ancora finita.
Michael, puoi dirci come ti sei preparato per il personaggio di Chávez?
Michael Peña: I miei genitori erano contadini. Sono emigrati a Chicago per avere una vita migliore, per realizzare un sogno. Mia madre oggi non c'è più, ma se mi vedesse nel film penso che sorriderebbe. La mia adolescenza è stata molto simile a quella del figlio di Chávez perché mio padre era sempre assente per lavoro. Tutti lo amavano, era una persona seria, ma mi mancava la sua presenza al suo fianco. Più tardi ho capito che era un uomo pieno di forza e passione, come Chávez, e ho cercato di infondere queste qualità nel mio personaggio.