Diario di un ergastolano
L'ennesimo film italiano sulla mafia, la "quarta" mafia in questo caso, la Sacra Corona Unita pugliese. L'ennesimo film su un malavitoso, su un criminale mai redento, al massimo gonfio di rimpianti. L'ennesimo film italiano su un sud sgarrupato, tosto, difficile, che offre un ventaglio limitatissimo di scelte di vita.
Perché fare un film del genere? Un ennesimo film ai confini del cinema di genere, che cerca di avere una qualcerta funzione sociale ed educativa attraverso il racconto di uno dei tanti spaccati della storia nascosta dell'italica gente?
I due registi, Davide Barletti e Lorenzo Conte, trovano la risposta di questo perché nel trarre la propria storia dal libro Vista d'interni, diario di un ergastolano che si mette a nudo, che scoperchia il vaso di pandora della malavita organizzata.
Ne esce una pellicola volutamente fredda, che non riesce a coinvolgere ed emozionare, che non crea nessun patos né immedesimazione con i protagonisti.
La storia viaggia a metà strada tra il Romanzo criminale di Placido, e il taglio documentaristico de In un altro paese, bello spaccato documentaristico su mafia e affini. Ma il non voler prendere una posizione, lascia il film in sospeso. Lo script e la messa in scena astraggono, rendono sfuggenti i contorni. I rimpianti di un grande boss del Salento, il suo "sprecare la giovinezza" in un carcere di massima sicurezza, relegato all'estremo rigore che si riserva ai leader della malavita organizzata, sono senza senso, senza scopo, senza redenzione ma anche senza disperazione.
Il film così si disunisce, la sceneggiatura stessa lavora per strappi, per accelerazioni, costantemente in cerca di una scena madre che non arriva mai.
Si nota anche la mano dei due registi, in bilico tra due autorialità distinte, che non permettono di focalizzare i contorni narrativi ed espressivi.
Alcune frecce per il proprio arco, nonostante tutto, il film le possiede: un'ottima scelta delle musiche, qualche scena davvero ispirata (su tutte quella dell'arresto), una coppia di attori, Claudio Santamaria e Valentina Cervi, ad altissimo livello.
Purtroppo il buon intento di partenza, l'asetticità, l'astensione dal giudizio, si trasformano in disattenzione, in superficialità. Il film ha comunque il pregio di non annoiare, di ritagliarsi un suo modesto ma solido spazio nel panorama dei film di genere, non riuscendo a fare il salto decisivo per sganciarsi dagli stereotipi più comuni delle storie tipiche del Belpaese.