Edizione 2021 della Festa del Cinema di Roma. Uno degli eventi di cartello era senza dubbio l'appuntamento con i Manetti Bros. dedicato alla loro carriera (un format tipico degli incontri della gestione precedente della rassegna) con la promessa di poter dare, in conclusione della chiacchierata, anche uno sguardo in anteprima esclusiva all'allora primo film dei registi romani dedicato a Diabolik. E le sequenze mostrate non delusero nessuna attesa, tutt'altro. Tra gli occhi glaciali del Re del Terrore interpretato da Luca Marinelli, il phisique du role dell'ispettore Ginko di Valerio Mastrandrea, l'inseguimento tra le strade di Milano, Bologna e Trieste, i gadget dell'antieroe, la Jaguar originale e le musiche di Manuel Agnelli, tutto prometteva il meglio possibile. Insomma contribuì a incentivare ulteriormente l'hype intorno a quello che sembrava essere, finalmente, un cinecomic (tratto da un fumetto) italiano all'altezza delle aspettative in un'epoca in cui il cinema è, a livello commerciale, sorretto, principalmente, solo da quel genere lì.
La pellicola di fatto fece un gran parlare di sé, riuscendo a piazzarsi bene (se non molto bene, ma ragioniamo sempre per gli standard moderni), nonostante la presenza nella sale di un altro cinecomic, quello dei cugini bravi, Spider-Man: No Way Home. Successo di pubblico, divisione totale della critica, che però concordava su una cosa: l'incredibile cura filologica dell'adattamento dei Manetti.
Il problema è che solo per alcuni fu motivo di elogio, in quanto segnale di grande coerenza e originalità, mentre per altri fu una scelta problematica e azzardata fino all'incomprensibile soprattutto perché si applicava ad un "cinema di sistema" (che è una parolaccia, ma abbiate pazienza, quantomeno rende l'idea) e ad alto budget.
Un anno dopo è uscito Diabolik - Ginko all'attacco!(il secondo dei restanti capitoli della trilogia, girati back to back) e diverse cose sono cambiate. Il COVID, che aveva attanagliato la produzione del primo capitolo, ha lasciato spazio ad altre problematiche, persino il volto sotto la maschera del Re del Terrore (da Marinelli a Giacomo Giannotti) non è lo stesso. Quello che invece è rimasto uguale è stato il competitor Marvel al botteghino e l'approccio che i Manetti hanno deciso di avere nel loro adattamento. Stavolta quasi rafforzato, sicuramente ampliato, in modo intelligente, per allargare quella visione già così sincera e solida, frutto di una visione autoriale indipendente in un genere cinematografico che per motivi di produzione e distribuzione esigerebbe tutto il contrario. Ecco perché un'altra cosa che è rimasta uguale è stata la reazione della critica.
Abbiamo avuto la fortuna di scambiare due chiacchiere con uno dei Bros, Marco Manetti, con il quale ci siamo concentrati proprio sulla natura dell'adattamento del materiale comics al cinema, partendo dal loro Diabolik per allargare il raggio al MCU e ad un futuro Universo che in Italia sta nascendo, cercando di seguire una linea tracciata dagli americani e, allo stesso tempo, conservare lo spirito nostrano.
Una questione di fumetti
Diabolik - Ginko all'attacco! è la conferma di una visione attenta, fedele e filologicamente accuratissima al fumetto, che passa anche per la scelta di non fare un sequel, ma un altro episodio della saga del Re del Terrore e scegliendo quindi, ancora una volta, di correre il rischio di andare contro il pubblico contemporaneo e staccandosi anche un po' anche dall'idea di cinecomic tradizionale moderno.
Corretto, Diabolik - Ginko all'attacco! non è un sequel nella misura in cui nessun film di James Bond è un sequel. Se mi permetti però non sono d'accordo che le operazioni di cinecomic siano così puntualmente non fedeli o che si adattino ad un gusto più popolare, io penso che il problema sia molto diverso e anche un po' più grave dell'aspettativa che si era creata su Diabolik. Il problema sta nella conoscenza del materiale di origine. Tra Diabolik e, non so, Spider-Man, per dire, c'è una differenza incredibile. Io credo che i film di Spider-Man somiglino molto al fumetto, soprattutto gli ultimi con Tom Holland mi ricordano moltissimo lo spirito originale. I fumetti hanno una storia molto lunga e sebbene abbiano vissuto anche dei momenti diversi, ha sempre avuto un'atmosfera un po' giocosa, sia action che teen.
Nel nostro caso credo si sia creata come un'illusione strana. Come se il fatto che noi facessimo il film di Diabolik allora significasse che avremmo fatto "il" cinecomic italiano e come se fare il cinecomic italiano volesse dire fare il Marvel italiano.
Diabolik è un cinecomic tratto da un fumetto noir, semplicemente.
Poi ci sono delle volte in cui alcune trasposizioni vengono rivoluzionate (e spesso sono anche operazioni poco riuscite), e infatti ti faccio l'esempio di Spider Man perché è uno di quelli che rispecchia di più il carattere del fumetto originale.
Nel caso della Marvel poi c'è anche qualche personaggio che è stato addirittura migliorato nel momento del passaggio sul grande schermo, penso per esempio ad Iron Man.
Batman, infatti, che è DC, ha avuto varie interpretazioni, alcune anche piuttosto lontane dal fumetto...
Batman ha una storia molto più complicata. Batman di Tim Burton del 1989 era già un'ennesima trasposizione. Magari se viene un altro autore che fa Diabolik anche lui cercherà di trovare una differenza, un'emancipazione, un punto di vista diverso, ma non tanto dal fumetto quanto da noi. In più Batman è un caso complessissimo perché il fumetto stesso è cambiato tantissimo. Il Batman di Frank Miller non ha nulla a che fare con quello di Bob Kane e se tu ci pensi il Batman cinematografico assomiglia più a quello di Miller.
Dunque non c'è stata una richiesta magari esterna, proveniente da chi detiene i diritti del Diabolik fumettistico o della produzione in generale per una virata "più fedele".
No, no, assolutamente.
Voglio fare una premessa: il nostro non è un pensiero ideologico, quanto genuino.
Noi pensiamo che non c'è nessun altro modo di trarre qualcosa da qualcos'altro se non essendo fedeli. Pensa al film che hanno fatto tratto da Dylan Dog o, rimaniamo in tema, Diabolik di Mario Bava. In quel caso si è fatta un'opera di appropriazione, quasi economica, più che di trasposizione. Rubi un marchio di successo per fare un po' quello che vuoi.
Noi stiamo facendo un film tratto da un fumetto che amiamo, semplicemente, e quindi è tutto il contrario di commerciale essere fedeli. Abbiamo lavorato su una cosa che ci piaceva facendolo come ci piaceva farlo, altrimenti non lo avremmo fatto proprio, avremmo fatto un'altra cosa.
Lo abbiamo anche fatto in realtà in un certo senso. C'era una serie, che forse non è mai uscita, girata per divertimento, che si chiamava Macabrus, per la quale ci siamo ispirati a Diabolik per poi fare una cosa nostra. La fedeltà è un dovere per chi adatta, anche se fosse un romanzo. Poi c'è un fatto, un po' più complicato, una cosa è essere fedele al contenuto del fumetto ed un'altra è esserlo in relazione al fumetto nella sua interezza. Noi non volevamo riprendere 1 ad 1 una tavola, in bianco e nero, immobile, ma volevamo fare un film, fedelmente a quel materiale là.
Diabolik - Ginko all'attacco!, la recensione: un sequel con gli occhi giusti
Fedeltà e adattamento
Una fedeltà ribadita anche da questo secondo film, dove, per esempio, lavorando in controcampo, si riesce a creare una tensione giocando su elementi introdotti nel primo film. Penso al fatto che Diabolik in sé viene mostrato molto meno, ma la sua presenza rimane costante grazie alle sue doti di camuffamento, rese credibili dalla pellicola precedente. La scena che prova la voce di un'altra persona fino ad imitarla alla perfezione...
Tu dici una cosa giusta, ma evidenzi una delle cose che invece abbiamo dovuto cambiare nel momento della trasposizione. Lì si tratta proprio del discorso che facevo prima: adattare da un media all'altro. Nel fumetto si dice come fa a creare le maschere, ma non si vede mai un momento in cui Diabolik prova la voce per camuffarla, anche perché il fumetto il problema della voce non ce l'ha. Noi invece ci eravamo posti il problema perché stavamo facendo un film e allora abbiamo scelto di mettere in scena questo "allenamento", che invece nei fumetti non è mai mostrato.
Dunque c'è un'idea di ritraduzione per avvicinarsi ad un linguaggio cinematografico, ma non per avvicinarsi al pubblico di riferimento.
Secondo me nessun regista pensa mai a quello che sta facendo in termini di "piacerà", "funzionerà", "che effetto farà", lo fa e basta. Pensare a quelle cose è compito più di un produttore. Tutti secondo me, anche il regista più commerciale del mondo deve fare una cosa che a qualche livello ama o apprezza, altrimenti non verrebbe mai bene. Forse hanno sbagliato i nostri io produttori a farlo fare ai noi io registi (ride).
Il regista non può fare altro che farlo come lo vede.
Mi ricordo che in un'intervista avete espresso un certo entusiasmo anche nei confronti di Alan Ford e di un possibile adattamento, magari con la nascita del Bonelli Cinematic Universe...
Trovo che sia splendido che Bonelli voglia fare dei film o delle serie tratti dai suoi fumetti, ma, vedi, anche questo mi viene in soccorso quando ti parlo dell'importanza specifica del materiale nel modo di adattare: il Bonelli Cinematic Universe non può esistere, proprio in termini pratici.
Il Marvel Cinematic Universe esiste perché esiste il Marvel Comic Universe, uno della Bonelli come fa ad esistere? Non c'è. Come può essere messo in piedi un Dampyr che incontra Tex? Non si può fare, è un termine usato male.
Quindi non è possibile ricreare un adattamento italiano sull'esempio di quello statunitense per una questione di caratteristiche del materiale di partenza.
Esatto, non è possibile.