Destini incrociati
Alejandro González Iñárritu esordisce nelle sale cinematografiche con un piccolo capolavoro dal titolo Amores Perros, ottenendo subito numerosi riconoscimenti sia da parte della critica, che del pubblico.
Iñárritu ci rivela, sin dalle prime inquadrature, uno stile marcatamente crudo, che mescola sapientemente ben tre registri diversi e che tuttavia risulta armonico nel complesso.
Tre registri per tre storie, accomunate dal filo conduttore di un incidente di macchina.
L'incidente di macchina simboleggia l'imprevedibilità del destino, di un destino che sfugge al dominio della volontà umana e che intreccia in modo incomprensibile tasselli di vite apparentemente estranee tra loro.
"Dio ride quando ci vede fare progetti", in questa frase, pronunciata da uno dei personaggi, risiede la chiave interpretativa del film, e ne scaturisce una consapevolezza che diffonde un'atmosfera di amaro disincanto e che avvicina lo spettatore ad una percezione diversa della realtà, fungendo da lente d'ingrandimento che rivela i meccanismi nascosti ed intrecciati che si nascondono sotto ogni piccolo, in apparenza irrilevante, episodio dell'esperienza vissuta.
In modo quasi incredibile Iñárritu porta a convergere sull'unico elemento dell'incidente stradale la storia di tre famiglie, quella di Octavio (Gael García Bernal), innamorato della cognata Susana (Vanessa Bauche), sposata al brutale Ramiro (Marco Pèrez) cassiere di un supermarket e piccolo rapinatore; quella della bella fotomodella Valeria (Goya Toledo) alla vigilia di una nuova vita con il suo amante finalmente deciso ad abbandonare la famiglia per vivere con lei; quella del vecchio rivoluzionario El Chivo (Emilio Echevarrìa), ormai ridotto a vivere come barbone insieme ai suoi cani.
Octavio sogna di fuggire con Susana, lontano dallo squallore e dalla miseria di Città del Messico, e cerca di metter da parte il denaro sufficiente alla fuga coinvolgendosi nelle lotte clandestine dei cani. Si susseguono scene di efferata violenza, crudeli e crude, ed ecco che negli sguardi dei cani si legge una rabbia senza nome, la stessa rabbia che li accomuna ai loro padroni, che conoscono solo la legge del più forte per potersi guadagnare la sopravvivenza giorno dopo giorno.
In antitesi al mondo squallido di Octavio, troviamo quello della fotomodella Valeria, nel pieno dell'entusiasmo per la sua storia d'amore quindi, e si passa al mondo patinato della moda, al lusso del denaro, alla leggerezza di una vita che scorre seguendo un ritmo apparentemente tenuto sotto controllo.
Octavio è un idealista, proprio come l'ex rivoluzionario El Chivo, che credeva nella realizzazione di un mondo più giusto e migliore, e che non esita ad abbandonare mogli e figlia per dedicarsi anima e corpo al suo sogno utopico e che, costretto in carcere per anni, decide di farsi credere morto dalla figlia, rinunciando ad ogni pretesa di padre.
Nel film tuttavia questo passato è solo evinto, lo ritroviamo infatti ormai vecchio, che si guadagna una vita da barbone uccidendo per commissione.
L'incidente di macchina, provocato da una corsa folle di Octavio per sfuggire ad una lite con un avversario della banda delle lotte clandestine, interrompe l'idillio amoroso di Valeria, trascinandola in una spirale senza fine di devastazione fisica, di quel fisico che inneggiava dai manifesti pubblicitari e che ormai non può che ammirare come la visione di un mondo perduto per sempre, ma contemporaneamente l'incidente salva anche la vita ad un uomo che doveva essere ucciso sotto commissione da El Chivo e ferisce gravemente Octavio che vede andare in fumo i suoi progetti di fuga con la cognata.
La scena dell'incidente ritorna ossessivamente come un ritornello, apre il film, funge da prologo ad ogni storia raccontata. Un Leit Motif che si ripete, che innesca nuovi meccanismi e che sovverte tutto l'ordine precedente delle tre storie conducendole lungo sentieri inaspettati ed imprevedibili.
L'incidente è la scossa del destino, è il momento che passa per tutti e che decide la svolta decisiva, il momento che rende improvvisamente tutto diverso, il punto di non ritorno, da quel momento in poi nulla sarà più come prima.
Un epilogo crudo e drammatico, che mescola in modo spietato scelte personali e fato escludendo la possibilità di una progettualità che possa essere portata a termine. Ma mista all'amarezza si avverte la carezza lieve di una ritrovata leggerezza, di quella leggerezza che accompagna i passi di El Chivo, ultima storia ad essere raccontata, fermamente deciso ad aggiungere nel suo patrimonio esistenziale anche il più piccolo brusio della danza incessante del destino, acquisendo una tranquilla, arresa consapevolezza.