Del cinema e del sogno
Quello di Satoshi Kon non è un nome ancora molto noto nel nostro paese, se non per l'uscita nelle sale italiane della fiaba metropolitana Tokyo Godfathers. Paprika, aiutato anche da un tam tam pubblicitario piuttosto corposo, ne segnerà probabilmente la definitiva consacrazione e l'accostamento a nomi più conosciuti dell'animazione giapponese come quelli di Hayao Miyazaki e Katsuhiro Otomo. Satoshi Kon firma infatti con questo film il suo capolavoro dimostrando un'acutissima sensibilità artistica ed una notevole conoscenza dei rapporti che intercorrono tra arti visive e psicanalisi.
Tratto dall'omonimo romanzo di uno degli autori di culto della letteratura giapponese contemporanea, Tsutsui Yasutaga, il film risucchia lo spettatore nel viaggio fantascientifico di Atsuko Chiba, giovane psicoterapeuta premiata col Nobel, e del suo alter-ego, Paprika appunto, per salvare il mondo dal caos causato dal furto di un dispositivo in grado di penetrare e manovrare i sogni delle persone.
Tsutsui Yasutaga ripone a ragione la propria fiducia nelle capacità creative di Satoshi Kon, che riesce nell'intento di tradurre in immagini l'astratto racconto dello scrittore. Questo lavoro è infatti molto di più di un film d'animazione ed è certo molto lontano dall'essere un semplice prodotto d'intrattenimento per bambini. Paprika si rivela di fatto, sin dai primissimi fotogrammi, un delirio surreale di suggestioni dove il senso di temporalità si frantuma e la distinzione tra realtà ed onirico finisce col sublimarsi in un caleidoscopio saturo di colori, suoni e volti in cui il simbolico predomina sulle leggi della razionalità. Lo schermo cinematografico diventa il varco magico che apre sull'universo dell'inconscio. Dove finisca la realtà e cominci il sogno è impossibile dirlo, non resta quindi che lasciarsi trascinare verso il definitivo scontro tra la luce e le tenebre.