Il cinema sembra aver trovato dei nuovi "cattivi". O, per meglio dire, archetipi da sviluppare per enfatizzare le gigantesche storture di una società votata all'apparenza e alla menzogna. Di chi parliamo? Degli influencer e dei content creator. Tra i primi ad arrivarci, Tim Burton con Beetlejuice Beetlejuice, capace di ridicolizzarli con una scena da manuale. Sommessamente, anche i The Jackal, con la seconda stagione di Pesci Piccoli, sferzano diverse stilettate alla categoria. La lista è lunga, e la materia è vivida. Come dimostra Dedalus, opera seconda di Gianluca Manzetti, scritto però da Vincenzo Alfieri, Nicola Barnaba, Roberto Cipullo, Francesco Maria Dominedò.

Novanta minuti, uno spaccato distopico. Un concentrato di smaccate suggestioni, che punterebbero ad un cinema dall'effetto immediato. Eppure, il climax teso, e steso dallo script di Dedalus, sembra bloccarsi, fungendo da intermezzo e non da sostanza. Ovvero: se la messa in scena funziona, funziona meno il panorama narrativo, che resta in una facile zona di confine.
Dedalus: come ti ridicolizzo l'influencer
Parlavamo di influencer e creator (che poi non sono la stessa cosa?). Quelli protagonisti di Dedalus sono sei, e tutti e sei sono incredibilmente respingenti. Michele, Tiziana, Leo, Antonella, Filippo, Belinda (Luka Zunic, Matilde Gioli, Francesco Russo, Giulio Beranek, Giulia Elettra Gorietti, Stella Pecollo). L'unico, forse, che potrebbe intercettare la nostra simpatia è Michele, calciatore con la carriera ormai finita. Vivono di follower, vivo di social, vivono con lo smartphone in mano.

Sono perfetti per il contest di capodanno organizzato da una misteriosa agenzia. Vengono rinchiusi in un castello isolato, dovendo prendere parte a diversi giochi che, scena dopo scena, diventano sempre più invasivi, intimi e pericolosi. A dettare il ritmo un ambiguo individuo, vestito come Steve Jobs (ad interpretarlo c'è Gian Marco Tognazzi). I sei, inaspettatamente, si ritrovano al centro di un piano vendicativo.
Manca il guizzo giusto

Il punto più interessante di Dedalus, infatti, è il ribaltamento della situazione, tracciato da un percorso in cui la vittima ed il carnefice assumono prospetti diversi. La figura del creator/influencer, in questo caso, viene de-mitizzata, e quindi svelata: un mondo che pende dalle loro parole (spesso e volentieri tracciate seguendo un linguaggio pre-stabilito dai propri committenti: un'evoluzione del marketing). Un mondo che, di botto, sembra risultare inospitale anche a coloro a cui tutto - come viene sottolineato dal film - sembra concesso.
Gianluca Manzetti, di cui conoscevamo la sua bravura registica già con l'ottimo Roma Blues, non si risparmia e punta a quel linguaggio pop propedeutico al servizio svolto: un po' Squid Game e un po' The Cube, Dedalus è un'escape room in cui nessuno è al sicuro. Una specie di resa dei conti, che sfrigola lungo un confine mai come oggi incandescente: la perdita della verità in nome di un contenuto pronto per essere condiviso e quindi valutato e reso virale in cambio di una visibilità ego-smodata, ombelicale e auto-referenziale.

In mezzo, a fare da legame (e da combustibile), tutto un corollario che ben conosciamo. Un panorama che, giorno dopo giorno, cresce e si auto-alimenta cavalcando odio e divisioni (e infatti i protagonisti di Dedalus sono la diretta conseguenza di una società divisa e polarizzata). Tuttavia, il film di Manzetti sembra avvolta da una cattiveria solo contestualizzata, solo affrancata e forse un po' troppo addomesticata, che gioca sul cliché per renderlo scorciatoia e non presupposto; un film oscuro e compresso, al servizio di una storia che però resta ancorata al fondale senza che possa mai prendere il largo. Un mezzo peccato, perché il cast funziona (Francesco Russo si conferma attore formidabile, così come Matilde Gioli, a suo agio con l'idea di trasformazione), funziona l'atmosfera (dalla scenografia di Alessandro Bigni ai costumi di Giorgia Maggi) e funziona l'organizzazione scenica, tesa e inquieta. Ciò che manca è, probabilmente, il guizzo, la giusta personalità, e una rilevanza che sappia andare (un poco) oltre, senza accontentarsi di aver fatto solo un buon compito.
Conclusioni
Dedalus è l'opera seconda di Gianluca Manzetti. Un film che punta a rivedere la figura dell'influencer/creator in chiave cinematografica, facendone una sorta di archetipo dalle controverse caratteristiche. Uno spunto interessante, coadiuvato da una buona struttura e da un buon cast. Tuttavia, la scrittura sembra poco efficace, perdendo il guizzo giusto che avrebbe potuto fare la differenza.
Perché ci piace
- Un ottimo cast.
- Una buona regia.
- Lo spunto è interessante...
Cosa non va
- ...ma forse privo di guizzi.
- Il finale risulta frettoloso.
- I personaggi sono poco interessanti.