Secondo giorno di programmazione ufficiale, e il quinto Festival del film di Roma tocca una delle sue note più riuscite e toccanti con Animal Kingdom, il sorprendente esordio di David Michod che racconta la brutale e tragica vicenda di una famiglia di Melbourne legata a doppio filo alla criminalità e a settori corrotti delle forze di polizia. Vincitore del premio della giuria all'ultimo Sundance Film Festival, il film di Michod approda fuori concorso alla kermesse capitolina come ulteriore tappa di una cavalcata che rischia di condurlo dritto ai prossimi Academy Awards; nell'occasione, il regista ha incontrato la stampa romana, accompagnato dalla produttrice della pellicola Liz Watts.
Un'opera prima davevro sconvolgente, alla tua giovane età. Cosa c'è di sbagliato in te? David Michod: Cosa c'è che non va in me? Non so, me lo chiedo sempre anche io. Mi chiedo perché sono attratto dall'oscurità e dalla malinconia, quando la mia infanzia è stata normalissima e la mia vita, tutto sommato, felice. Ma sono sicuro che ho anche storie gioiose in me, solo che non le ho ancora raccontate!
Come avete trovato il protagonista, il giovanissimo James Frecheville? David Michod: Non è stato facile, ma sapevamo che non lo sarebbe stato. E' un ruolo delicato, per un ragazzo nemmeno maggiorenne, ed era molto difficile azzeccare la persona giusta: volevo un ragazzo che fosse emotivamente ferito, danneggiato, ma che allo stesso tempo fosse forte e deciso. Abbiamo visto 500 aspiranti e, per nostra fortuna, James era uno di loro.La tua sceneggiatura è basata su diversi fatti di cronaca, i cui dettagli hanno dato vita a questa storia. Anche con la famiglia è successo qualcosa di analogo, è un insieme di diversi modelli di vita reale? David Michod: Sono affascinato da un periodo della criminalità australiana, quello degli anni 80 - anche se il film non è ambientato in quegli anni. Sono i giorni morenti delle gang e dei criminali professionisti, giorni particolarmente pericolosi a causa dei rapporti con certi settori delle autorità. Nel film ho voluto ricostruire come funzionavano le cose allora ed esplorare la fine del periodo di massima diffusione della rapina a mano armata e il modo in cui questo declino si rispecchia nella tragedia che colpisce una famiglia. Il modello per la famiglia, sembrerà strano, sono la mia e le famiglie di amici, le loro dinamiche però sono trasferite in un ambiente di criminali sociopatici.
Che riferimenti ha utilizzato per il personaggio di Jacki Weaver, così shakespeariano? David Michod: Veramente non ho avuto altri riferimenti se non la stessa Jacki Weaver, il ruolo d'altronde è stato scritto per lei, volevo una donna di un certo tipo per interpretare questa matriarca, che avesse una certa solare sensualità ma che sapesse essere anche agghiacciante. C'era una dona materna e sorridente al cuore di questo gruppo di ragazzi pericolosi, e non poteva che essere pericolosa lei stessa.
E infatti ci riesce benissimo. Si parla di una nomination all'Oscar... Liz Watts: Inutile dire che saremmo felicissimi!David Michod: Sono particolarmente orgoglioso di questo personaggio, è stato bellissimo scriverlo, e il pensiero che è servito a fare parlare di lei in tutto il mondo dopo che si era eclissata dal grande schermo è una grande gioia. Jacki non è certo l'ultima arrivata, recita da 48 anni ed è stata una stella della Australian Renaissance, e, anche se recita in teatro 365 giorni l'anno, è con Animal Kindgom che è tornata al cinema, e questa ricezione mi riempie di gioia.
Liz Watts, puntare su un'opera prima così drammatica non deve essere stato una passeggiata, in Italia sarebbe quasi impossibile esordire con un film come questo. In Australia la situazione è diversa? Liz Watts: C'è voluto molto tempo per realizzare il progetto, concepito ormai 9 anni fa. Ma c'è stata sempre enorme fiducia nei confronti di David, che dava segni evidenti di una matura e brillante visione registica. C'è voluto molto a trovare i finanziamenti, ma anche grazie al sostegno del governo australiano e a quello del marketing internazionale ci siamo riusciti. Il talento coinvolto e il valore enorme di questo script erano evidenti per tutti.
Dopo la famosa Renaissance degli anni '70 il vostro paese non ha più prodotto molto, in che stato di salute è la cinematografia australiana? David Michod: Quel periodo fu straordinario, anche perché prima una industry australiana nemmeno esisteva. Dopo tante pellicole singolari, spesso geniali, oggi il nostro è un mercato piccolissimo anche perché produce film in lingua inglese, un ambito completamente saturato da Hollywood. I film sono un'impresa notevole, costano molto e può andare tutto storto, e quando ti accorgi che qualcosa non va è quasi sempre troppo tardi. Quindi emergere in un mercato che sforna appena una cinquantina di film l'anno non è affatto facile.
Nove anni di lavorazione: qual è oggi il tuo rapporto con il tuo film? In un certo senso ti ha stancato? David Michod: C'è stato un momento molto difficile, a dire la verità, quando stavamo per montare il film. Avevo perso di vista i miei obiettivi, non sapevo più che cosa fosse la mia opera o cosa volevo che fosse. Sapevo che doveva essere buono, il più possibile buono, ne andava del mio futuro... poi siamo arrivati al Sundance, ed ero terrorizzato. Ma le reazioni sono state quelle che sapete, in breve tempo Animal Kingdom è diventato il film di cui parlavano tutti, e potete immaginare il sollievo.