"La guerra mostra il vero volto di un uomo". Se decidiamo di iniziare la nostra recensione di Das Boot 2 con una battuta pronunciata da uno dei protagonisti è per chiarire subito come la serie tedesca targata Sky voglia raccontare la Seconda Guerra Mondiale non attraverso gli eventi storici o battaglie spettacolari, ma prestando attenzione all'animo umano. Nei quattro episodi che abbiamo visto in anteprima (la seconda stagione sarà formata da otto episodi in totale) si è percepito fin da subito la dimensione interiore che caratterizza al meglio la serie dimostrando, però, anche il suo limite maggiore. Come i siluri sparati dai sottomarini, la sensazione generale è quella di avere un grosso potenziale che, una volta lanciato, non sempre centra l'obiettivo prefissato.
Una nuova missione...
La trama di Das Boot 2 si svolge poco tempo dopo il finale della prima stagione. Il primo episodio, molto introduttivo ma già con un colpo di scena di finale, serve a ristabilire lo status quo dopo gli eventi passati, presentare nuovi volti che risulteranno centrali nel proseguimento della storia e definire la nuova missione che legherà (non perfettamente, a quanto abbiamo potuto notare finora) le varie storyline. Al capitano von Reinhardtz, un nuovo personaggio della serie e comandante dell'U-Boot 822, viene affidata una missione top secret: deve consegnare qualcosa di misterioso in un punto stabilito in mezzo all'Oceano, una missione che dovrebbe aiutare la propaganda tedesca e far risollevare il morale dell'esercito. Sulla terraferma, nella cittadina di La Rochelle, Simone Strasser (Vicky Krieps), dopo gli eventi della prima stagione in cui si era legata alla Resistenza francese, cerca di salvare una famiglia di ebrei ricercati dalla polizia comandata dal suo capo Forster. Klaus Hoffmann (Rick Okon), nel frattempo, è protetto in America da Greenwood e progetta il suo ritorno in Germania.
...ma vecchie dinamiche
Tre storyline che procedono con un ritmo sempre compassato e si alternano senza mai legarsi completamente se non brevemente. Nonostante il titolo della serie ponga l'accento sull'universo militare dei sottomarini tedeschi, questi sono solo una piccola parte di quanto ci viene mostrato durante gli episodi che raccontano in misura maggiore le imprese dei personaggi sulla terraferma. Non che il racconto degli eventi possa annoiare (in questo la riuscita generale della narrazione ci è parsa un gran passo avanti rispetto alla prima stagione), ma la riproposizione di certe dinamiche narrative, sia abusate causa contesto storico (i complotti politici, la caccia all'uomo) che già raccontate più volte all'interno della stessa serie (ogni battaglia tra sottomarini è uguale alla precedente, le minacce interne tra la truppa del sottomarino si ripetono in maniera quasi prevedibile) può mettere a dura prova uno spettatore meno appassionato. La stessa iconografia utilizzata come l'abbigliamento dei personaggi, il loro physique du role, la loro caratterizzazione non si dimostrano nulla di originale o innovativo: Das Boot è una serie che presenta una cura quasi maniacale nelle scenografie, ma che si dimostra anche incapace di distinguersi davvero.
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La guerra invisibile
C'è un aspetto importante che, a volte, mina completamente la credibilità del racconto e la possibilità di appassionarsi: il tempo. Nei momenti peggiori, Das Boot dà per scontato che questi personaggi non particolarmente tridimensionali (mai un'ambiguità, mai un non detto: tutto è giocato a carte scoperte sul tavolo) e queste vicende narrate siano già di per sé interessanti e capaci di tenere incollato lo spettatore allo schermo. Il risultato è che non si ha mai la sensazione di andare verso qualcosa, di dover lottare contro il tempo, di compiere una missione prima che possa succedere qualcos'altro. Non c'è mai una minaccia che possa portare al cambiamento improvviso o che possa giustificare certi comportamenti o svolte narrative se non in maniera del tutto estemporanea. In questo modo non si ha la sensazione di pericolo imminente e ciò che succede ai personaggi perde di forza. Un gran peccato perché dove, invece, Das Boot trova il suo lato migliore è proprio nella metafora di questa guerra invisibile e distante dagli occhi di chi guarda. Il sottomarino diventa specchio di una situazione interiore, un luogo claustrofobico in cui si è costretti a vivere, in mezzo all'abisso (che corrisponde all'abisso dell'animo umano), anche controvoglia. Incapaci di capire fino all'ultimo se un siluro ha centrato l'obiettivo o se si è stati colpiti, i personaggi sono anche incapaci di tornare all'aria aperta, rimanendo costretti a combattere una guerra ormai troppo lunga a cui non crede più nessuno.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Das Boot 2, nonostante i molti difetti presenti, sentiamo di non dover essere troppo severi con la serie tedesca di Sky. Colpa di alcune scelte stilistiche e qualche dinamica non troppo originale e ripetitiva (persino all’interno della stessa serie), Das Boot rischia di non appassionare quanto vorrebbe risultando prevedibile e con pochi personaggi memorabili. Tuttavia la scrittura asciutta e semplice e la cura scenografica non affonda del tutto la barca, rendendola una serie d’intrattenimento senza grosse pretese, migliore della stagione passata.
Perché ci piace
- Nonostante la troppa semplicità la serie rimane godibile.
- Alcuni colpi di scena funzionano e rinnovano l’interesse.
- La cura scenografica la rende piacevole da vedere.
Cosa non va
- Le dinamiche narrative sono spesso ripetitive e prevedibili.
- Non sempre le storyline si amalgamano al meglio per dar vita a un racconto completamente avvincente.